Serie A

Stadi semivuoti e secondo posto a 70 punti, com’era la Serie A di 10 anni fa citata da Cassano contro Leao

Rafael Leao
Rafael Leao, Milan - Foto LiveMedia/Fabrizio Carabelli

Un nuovo affondo. E una nuova risposta. Ma soprattutto la conferma che nel calcio italiano la memoria è davvero corta. Antonio Cassano, in collegamento con la Domenica Sportiva, è tornato a sminuire l’esterno del Milan, Rafa Leao: “Quando giocavo io dieci anni fa o quindici anni fa, lui non avrebbe giocato neanche in squadre in corsa per il sesto o settimo posto”, è l’opinione di Fantantonio. Il destinatario della critica ha risposto su X: cinque emoticon del pagliaccio che non lasciano spazio ad interpretazioni. Toni accesi, ma anche opinioni forti e tutt’altro che banali. Cassano è diretto come è nel suo stile e le sue idee possono essere più o meno condivisibili, a partire dalle osservazioni su Mourinho e Allegri, passando per l’elogio a Stefano Pioli e Lautaro Martinez (che “fa tutto: corre, segna, fa assist, difende, è uomo squadra” ed è verissimo). La critica a Leao però parte da un presupposto difficile da far passare. L’attaccante portoghese in stagione, in tutte le competizioni, è già a quota 12 gol e 12 assist, numeri forse non all’altezza delle sue potenzialità e inferiori, come specificato da Cassano, a quelli di Foden e Vinicius. Tra due potenziali Palloni d’oro e l’identikit di “buon giocatore con grande forza fisica” però c’è un oceano. E soprattutto ci sono figure che testimoniano quanto sia sbagliato sminuire i numeri del milanista. Come quella di Luis Diaz, che a 24 anni non andava oltre quota 11 gol segnati in tutte le competizioni in Portogallo.

Ma quel che stupisce, nel ragionamento di Cassano, è l’esaltazione della Serie A “di 10 anni fa”, che a suo dire sarebbe stata inaccessibile per uno come Leao, persino in squadre in sesta e settima posizione. Nel 2013-14 la sesta classificata era proprio il Parma di Cassano, miglior marcatore con 12 gol, con Jonathan Biabiany punta di diamante sulle fasce con sei reti. Al settimo posto (attualmente occupato dal Napoli di Osimhen e Kvaratskhelia) c’era il bel Torino di Ventura con Cerci in rampa di lancio. Quinta l’Inter di Icardi, preceduta da Fiorentina, Napoli, Roma e la dominatrice Juventus. Nel 2014-15 la Roma di Garcia chiuse al secondo posto a quota 70 punti, che nelle ultime cinque stagioni non sempre è bastata per il quarto posto. C’erano grandi campioni, da Tevez a Higuain, passando per i vecchi veterani italiani Francesco Totti, Luca Toni e Antonio Di Natale. Oltre ai primi lampi di Ciro Immobile (capocannoniere per la prima volta nel 2013-14) e Domenico Berardi. E c’era un’unica grande realtà spendibile a livello internazionale: la Juventus, capace di dominare l’Italia a suon di Scudetti e record prima con Conte e poi con Allegri. Ed è davvero difficile pensare ad un Rafa Leao impossibilitato a trovare spazio nei piani alti di un campionato italiano che anche a livello d’immagine faceva fatica a tenere il passo della Serie A attuale. Nel 2013-14 solo tre squadre (Inter, Roma e Napoli) superarono i 40.000 spettatori di media, mentre nell’anno seguente ci riuscì solo il club giallorosso. Nella stagione in corso, ci sono addirittura tre squadre (Inter, Milan e Roma) sopra la media di un pubblico da 60.000 tifosi, più altre due (Napoli e Lazio) che superano abbondantemente i 40.000. Non c’è indicatore più prezioso dello stato di salute di un campionato. E della qualità delle sue stelle.

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