Europa League

Mourinho e lo spettro di Herrera: finirà male anche con i Friedkin?

Josè Mourinho Roma
Josè Mourinho - Foto LiveMedia/Federico Proietti/DPPI

Quando è arrivato in una Roma già pazza di lui tra murales e folklore, aveva subito messo le cose in chiaro sulla storia giallorossa: “All’Inter non paragonate nessuno a me o ad Herrera. E alla Roma non paragonate nessuno a Liedholm o Capello”. Alla fine, le due storie potrebbero ritrovarsi intrecciate. E oggi, dopo due anni, dopo una finale persa di Europa League persa ai rigori contro il Siviglia, l’avventura di Josè Mourinho rischia di essere travolta dalle similitudini con quella romana di Helenio Herrera, allenatore dell’Inter campione d’Europa, accolto trionfalmente nella sponda giallorossa della Capitale e capace di interrompere il digiuno romanista di trofei, senza però rispettare quelle che erano le aspettative. Herrera doveva riportare lo Scudetto a Roma, ma vinse solo la Coppa Italia e lasciò il club tra le polemiche con la dirigenza, al punto da arrivare a pubblicare sul ‘Messaggero’ un’inserzione ironica: “Cercasi club con presidente serio, con il quale si possa firmare in bianco e collaborare lealmente”. Non è ancora chiaro quale sia il futuro di Josè Mourinho. Ma la sua stagione è stata un susseguirsi di messaggi, velati o meno, alla società – da Friedkin a Pinto – comunque meno rumorosi dei silenzi del finale di stagione, quando il tecnico praticamente non ha più parlato in conferenza stampa in campionato (limitandosi alle conferenze imposte dalla Uefa). Inoltre dopo il ko di Budapest, il tecnico, più che garanzie tecniche, ha chiesto una maggiore protezione mediatica e una figura in grado di esporsi al posto suo su certe tematiche. Lo Special One ha ancora un anno di contratto, ma il suo futuro è tutto da definire e domenica, in occasione dell’ultima giornata contro lo Spezia, non sarà nemmeno in panchina perché squalificato. Dall’altro lato i Friedkin non rompono il silenzio, come è nel loro stile, ma il tempo stringe e la Roma deve iniziare a programmare il più presto possibile la prossima stagione, considerando anche il fardello delle limitazioni del settlement agreement.

Ma scatta anche il tempo delle riflessioni. La Roma di Mourinho non è riuscita a districarsi su più fronti, trovandosi costretta ad un certo punto a perdere terreno in campionato a fronte di due percorsi importanti in Europa. La squadra giallorossa non ha ottenuto nemmeno un successo nelle ultime sette partite di campionato e nel periodo di riferimento, dalla 31esima giornata, solo la Sampdoria ha ottenuto meno punti dei giallorossi (tre). Troppo poco. E gli infortuni (la prevenzione è stata il grande punto di forza della scorsa annata) non hanno aiutato. La Conference League ha spezzato un digiuno di 14 anni, ma non aver centrato la Champions nella stagione del -10 della Juventus e dei tanti passi falsi delle rivali è un’occasione persa che pesa nel progetto Friedkin. Sul gioco la Roma di Mourinho – che si presenta all’ultima giornata con gli stessi punti della scorsa stagione (60) – non ha mai incantato ma si è concessa un’identità in grado di esaltare le qualità di alcuni interpreti e nascondere i difetti strutturali della rosa. La gestione dei giovani ha premiato poi il lavoro sul settore giovanile e i vari Zalewski, Bove, Missori, Volpato e Tahirovic si affacciano alla prossima stagione con un carico di esperienza (e anche gol) in più.

Poi c’è il discorso tanto caro a Mou sull’empatia. E se c’è proprio una differenza con Herrera, in un oceano a tratti inquietante di similitudini, quello è il rapporto con spogliatoio e tifoseria. Su quel fronte, Mou ha lasciato un tratto indelebile, è stato l’elemento capace di unire la piazza divisiva per eccellenza. Ha messo il suo tocco in ogni aspetto – anche il più piccolo – della vita quotidiana della Roma: dal maxischermo a Trigoria, all’inno intonato con le squadre in campo (e non prima), passando poi per i messaggi ad una tifoseria che allo stadio, in particolare nelle notti europee, ha rappresentato l’uomo in più. Mourinho voleva 65.000 giocatori e così è stato, il pubblico è stato impressionante”, l’ammissione di Arne Slot dopo Roma-Feyenoord. Sul campo si potrà far sicuramente meglio in futuro, ma difficilmente un altro allenatore riuscirà a stabilire un rapporto simile con il famigerato e temuto ambiente romano. Per quello non esistono corsi o master, bisogna solo essere Special.

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