
Il presidente del Napoli si racconta a RSI: dagli inizi nel calcio senza esperienza al paragone con il cinema, fino agli aneddoti con i tifosi.
Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista a RSI nella quale ha ripercorso con schiettezza e ironia il suo percorso nel calcio e nel cinema.
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“Quando sono arrivato nel calcio non ne sapevo nulla. Quando mi parlavano di 4-4-2 pensavo fosse un modo di sedersi a tavola, e tutti ridevano”, ha raccontato il patron azzurro, ricordando la sua distanza iniziale dal mondo del pallone. “Da ragazzo avevo giocato a basket, mentre l’Italia è un Paese di ‘pallonari’, in senso buono”.
Il legame con il cinema è stato fondamentale: “Il cinema mi ha insegnato disciplina, amore per il lavoro e professionalità. Ma soprattutto la differenza tra imprenditore e prenditore: io ho sempre voluto creare. Nel cinema hai un oceano di idee, puoi raccontare una storia. Nel calcio invece non c’è mai una sceneggiatura scritta, non hai il controllo creativo, è imprevedibilità pura”.

De Laurentiis ha ricordato anche il suo primo tentativo di acquistare il Napoli nel 1999, presentando un assegno da 120 miliardi e spezzandolo simbolicamente davanti ai giornalisti. Poi l’abbandono temporaneo, fino al ritorno dopo il fallimento del club: “Mi dissero che il Napoli era fallito e io ero incredulo. Mia moglie e i miei figli mi dicevano: ‘Papà, ma che sei matto!’. Mi comprai un pezzo di carta, non c’era nulla. Ora siamo tra i club più competitivi”.
Sul rapporto con il pubblico: “Il calcio si vive settimana dopo settimana, non fai mai abbastanza. Ti chiedono acquisti, cambi di allenatore… spesso da gente che fa fantacalcio e capisce poco di quello vero. Io sento di essere amato dai più, criticato solo da una parte. Ma tra chi va allo stadio c’è un 10-15% di ultras che spesso non rispettano le regole. Lo abbiamo visto anche a Milano con Inter e Milan”.
Infine un aneddoto emblematico: “Un giorno, scendendo dall’aereo a Torino, mi si avvicina un uomo con la maglia della Juventus e mi chiede foto e autografo. Io gli dico: ‘Ma tu non sei juventino?’. E lui: ‘Sì, ma noi un presidente come lei non ce l’abbiamo’. Quella frase mi ha fatto piacere, significa che rappresento una diversità”.
