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ESCLUSIVA – Silvana Stanco: “Parigi l’Olimpiade della maturità, ora so cosa aspettarmi”

A Parigi 2024 una carta da medaglia importante per la squadra azzurra è nelle mani di Silvana Maria Stanco. Dopo l’esordio a cinque cerchi di Tokyo, la tiratrice classe 1993 culla il sogno di un podio olimpico dopo quel quinto posto che nel 2021 le aveva lasciato un po’ d’amaro in bocca. “L’avvicinamento lo sto vivendo abbastanza tranquillamente, era stato così anche l’ultima volta. L’ho sentita di più l’ultimo mese e poi in gara stessa. A volte, se ci penso, mi viene un po’ di preoccupazione ma credo sia naturale”, racconta in un’intervista esclusiva a Sportface.it.

Una passione sbocciata per il tiro a volo seguendo le orme di papà Donato.
Sì, lo seguivo sempre e gli dicevo che volevo provarci. Mi rispose che lo avremmo fatto per arrivare a determinati obiettivi e accettai, essendo anche io molto ambiziosa. Iniziò subito molto bene, si vedeva che c’erano delle potenzialità. Il primo obiettivo erano i Giochi di Rio de Janeiro ma, pur essendomi qualificata, il posto scelto dal ct è andato a Jessica Rossi, che era campionessa olimpica in carica.

Ricordi gli esordi in gara con papà?
La mia prima, in cui ero ancora una principiante, l’aveva vinta mia padre mentre io arrivai ultima: una classifica così, con due Stanco agli antipodi, fa sempre sorridere come ricordo. Da un certo punto in poi, però, ho cominciato a vincere io. Anche se, ancora adesso, papà mi stuzzica e mi dice ‘Ora ti batto’…

Hai detto di aver iniziato a 15 anni, è l’età giusta per avvicinarsi a questo sport?
Non era male come inizio, anche se la Federazione consiglia tra i 12 e i 13 anni. Per me è stata l’età giusta: il primo anno mi allenavo a casa in Svizzera, il successivo ho iniziato le gare in Italia e nel giro di due anni avevo vinto i Campionati italiani per poi iniziare a competere a livello internazionale. È stato comunque tutto molto veloce. Ora faccio parte del Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle, mi sono sempre vicini e mi forniscono un supporto non indifferente.

Sei per metà svizzera, da parte di mamma: in cosa ti senti più vicina all’Italia e meno in altri aspetti?
Quando cresci all’estero ti senti sempre ‘la straniera’. Mi sentivo italiana, tifavo per il calcio italiano, guardavo la televisione italiana. Adesso che sono qui per molto tempo durante l’anno, mi rendo conto che sono svizzera in molti aspetti: la precisione, l’ordine, la puntualità, cose che qui forse mancano un po’ e per questo quando torno a casa è un sollievo (sorride, ndr).

Dalla tv i tiratori riescono a far sembrare tutto così semplice e naturale. Ma qual è la difficoltà più grande e meno visibile ad occhio nudo per gli spettatori?
Al nostro livello, la difficoltà più grande riguarda l’aspetto mentale: all’80% è quello che ti fa andare e fuori e raccogliere gli zeri. Potresti anche non essere tecnicamente perfetto, ma se ci sei con la testa riesci comunque a vincere. È uno sport di routine, di movimenti: all’inizio è molto difficile, poi ci si abitua.

Hai qualche figura di riferimento per un aiuto dal punto di vista mentale?
All’inizio non l’avevo, mi informavo da sola e riuscivo comunque a reggere abbastanza bene. Dal 2022, dopo l’Olimpiade di Tokyo lavoro con Costanza Bonaccorsi, mi ha portato a dei miglioramenti. A Tokyo ci ero arrivata con una preparazione perfetta, sono giunta in finale agevolmente e poi mi è crollato il mondo addosso: emozione, tensione, non capivo più nulla e sono arrivata quinta. Dopo quell’esperienza mi sono resa conto di aver bisogno di aiuto da questo punto di vista.

Quindi quel quinto posto è un bicchiere mezzo vuoto?
Sì, l’ho presa malissimo. Non è un piazzamento che raccogli con un ‘va bene, è il mio livello e ci sta’. Quella finale l’ho persa da sola con me stessa, era fattibile ma sono andata in tilt. Ho avuto pensieri di tutti i tipi: tutto ciò che avevo imbottigliato da sempre è venuto su tutto insieme, emozioni estreme che non avrei mai potuto aspettarmi.

Parigi sarà allora l’Olimpiade della maturità?
Sì, una volta che hai vissuto certi momenti diventa diverso a livello emotivo e mentale.

Una curiosità: è vero che studi le lingue dei paesi dei Giochi?
Ormai è diventata una gag. Ho frequentato Romanistica all’Università e avevo scelto il portoghese come prima lingua perché avevo puntato tutto su Rio de Janeiro ma la decisione finale non spettava a me. Poi arriva Tokyo e quindi decido di frequentare un corso di giapponese ma non era la stessa cosa. Per Parigi il problema non si pone, il francese già lo parlo.

Tornando a Tokyo, com’è stata la tua prima esperienza olimpica, pur in un’edizione particolare?
A parte le emozioni della gara, il contorno è davvero unico. Purtroppo abbiamo visto poco, ci muovevamo solo dal campo al villaggio. Ricordo però lo stare insieme, c’era la tv e abbiamo guardato le gare dell’atletica: è stato molto bello.

Sei stata la prima a conquistare la carta olimpica, come ci si sente?
Un po’ di casualità perché siamo le prime a gareggiare. È stato così anche per Tokyo, per me vuol dire tanto perché significa essere pronta già alla prima occasione.

Hobby?
Mi piace molto cantare e mi accompagno col pianoforte, tutto da autodidatta. Mi piacerebbe frequentare dei corsi, ascolto musica a 360° ma sono una grandissima fan di Taylor Swift anche se la mia vocalità non ha nulla a che fare con la sua. Ho guardato le date dei concerti, in estate si esibisce a Milano e Zurigo, giusto un paio di settimane prima dell’Olimpiade… Credo che aspetterò un’altra occasione.

Tra una decina di anni ti vedi ancora in Fossa olimpica?
Credo proprio di sì. C’è Pellielo, il migliore di sempre, ed è ancora il numero uno – almeno per me – a 53 anni.

Possiamo aspettarci, quindi, come da tradizione la prima carta olimpica per Los Angeles 2028?
Ovviamente, ci proverò come sempre!

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