Serie A

Milan, in Giannis veritas

Divock Origi Milan
Divock Origi - Foto LiveMedia/Fabrizio Carabelli

La differenza tra un addetto ai lavori e un tifoso deve per forza essere la lucidità nella capacità di analisi. Non vuol dire che sia in grado di commentare per forza in maniera migliore, lungi da me, ma credo che mentre a un tifoso possa essere perdonato il sopravvento della passione sulla razionalità, non possa essere essere lo stesso per un giornalista, per quanto dichiaratamente di fede di una squadra. Ho sempre cercato di fare della lucidità la mia cifra stilistica, per quanto io sia riconosciuto come tifoso ed “esperto” di cose di Milan, ho sempre cercato nei momenti di analisi di distaccarmi il giusto per poter dire la mia con serenità. Per questo motivo l’editoriale lo sto scrivendo stamattina e non ieri sera, perché avevo bisogno di razionalizzare, dormici sopra una notte e riguardarmi alcuni momenti della partita.

Qualsiasi cosa scriverò in questo editoriale sarò additato di qualcosa, di “difensore della patria” se non dovessi accanirmi contro tutto e tutti, del resto “tu vai a Milan Tv” figurati se critichi, come se non avessimo la massima libertà di espressione e pensiero, oppure se invece dovessi essere particolarmente duro sarei il “distruttore” perché questo o perché quello. Oggi che i social hanno preso il sopravvento, che tutto va a velocità della luce, anche le idee passano dal commento facile, dall’insulto ancor più semplice e dalla totale assenza di analisi lucida e razionale. Quindi il mio consiglio è che se vi aspettate da me che spari a zero su tutto e tutti,  voltate pagina da subito. Non troverete questo. E credetemi, non è un tema di non criticare.

“Se Cdk avesse segnato..”, “se non fosse stato fuorigioco..”, “se Brahim…” , i se avrebbero forse portato 3 punti, ma avrebbero contribuito a nascondere la polvere sotto al tappeto. Sono del partito che “si vince e si perde insieme”, quando ci sono dei problemi difficilmente i demeriti sono attribuibili esclusivamente ad un singolo, ma credo molto più al concorso di colpe.  Ieri è mancata cattiveria e precisione e soprattutto è mancato riempimento dell’area di rigore, un riferimento li davanti. E’ facile analizzare col senno di poi, ma la sensazione è che la scelta con Saelemaekers e Origi larghi sulle fasce e Cdk più Brahim in vesti di doppio falso nove abbia creato una sorta di vuoto offensivo, poco efficace. L’idea era di scardinare e allargare gli stretti ranghi della Cremonese, ma il risultato è stato una serie di palloni gironzolanti per l’area di rigore, dove mai nessuno è riuscito a concretizzare.

Il tutto unito ad un appiattimento della squadra e tanto, troppo giropalla orizzontale e prevedibile. Quando gli esterni hanno provato “chiamare” la profondità,  a volte per mancanza di personalità (o di qualità..?) non sono stati premiati, quando ci siamo riusciti il Milan ha trovato la rete, annullata poi per mezza spalla oltre l’ultimo difensore della Cremo. Troppo facile lavarsene le mani scaricando tutto sul fatto di aver schierato le “seconde linee”, perché non credo che i “non titolari” del Milan non possano battere una Cremonese.  Aggiungiamo poi che le nostre prime linee fanno grande fatica ad essere decisivi a gara in corso. Ed ecco il patatrac.
Il tema vero è che ci portiamo dietro il problema di non battere le squadre particolarmente chiuse da inizio stagione. E quando lo abbiamo fatto, a volte, è stato per il rotto della cuffia. Non è questione di “un piano B per le partite contro le squadre particolarmente difensive”, perché ieri si è provato a cambiare qualcosa ma non ha funzionato. A volte serve una maggiore “energia mentale”, che possa trasformare anche l’episodio da negativo a positivo.

Certo, a fine stagione qualche analisi sull’attuale rosa e sulla sua profondità andrà fatta, soprattutto sui ruoli e non intendo le posizioni in campo. Ragionando come nel Basket, il Milan ad esempio ha Alexi che è perfetto come “dodicesimo” uomo, ma va compreso chi è in grado di fare il titolare, chi la riserva, chi può stare in rotazione fissa e chi può dare il contributo solo per qualche minuto. Il problema, probabilmente, non è quindi il turnover in sé, quanto la gestione durante l’anno e l’inserimento dei singoli che forse avrebbero necessitato di un minutaggio spalmato in modo più razionale, crescendo coi minuti di gioco step by step. Ma queste le ritengo “piccole situazioni”, non cause vere e proprie.

Anche perché se vero che ci sono degli errori da parte del regista (siamo tutti essere umani e sbagliamo), gli attori non sono da meno. Ci ricolleghiamo quindi al punto iniziale, ritengo sbagliato accomodarsi e puntare il dito cercando un singolo “colpevole”, un po’ perché lo ritengo realmente poco utile e un po’ perché resta il credo  del “si vince e si perde insieme”. Il Milan post Mondiali ha un ruolino di marcia preoccupante: una media punti di circa 1.4, 6 vittorie, 7 pareggi e 5 sconfitte. Parliamoci chiaro, così in Champions non ci vai, ma lo sa benissimo il mister e idem la squadra. Le energie mentali sono state spremute dalla Champions, probabilmente se la squadra fosse uscita probabilmente oggi avremmo 6-8 punti in più, lo dico con abbastanza sicurezza.

Oggi potrei cavalcare il malcontento, potrei polemizzare su tutto e tutti, ma il rischio è di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Perché c’è ancora una semifinale di Champions League da affrontare e una corsa Champions da azzannare e resto convinto che non sia tutto così negativo come si voglia far credere. E’ stata una stagione particolare, complicata da quel gennaio devastante che mai ha trovato realmente una spiegazione.

Potrei colpevolizzare la proprietà, la società, l’allenatore e prenderei un sacco di approvazione, ma onestamente lo riterrei sbagliato, populista e lo lascio fare ad altri. Stiamo facendo un percorso, da 3 anni siamo tornati ad essere in corsa per obiettivi reali, l’anno scorso abbiamo vinto lo scudetto, quest’anno siamo in semifinale di Champions. E’ davvero tutto da buttare? Poi possiamo parlare ore e ore di un Milan che fa fatica ad offrire la stessa qualità di gioco (e di risultati) dell’anno scorso e per questo ho analizzato situazioni che non hanno funzionato.

Onestamente preferisco concludere appoggiandomi all’Nba, cosa che ormai sta diventando routine in questi editoriali e lascio risuonare le parole di Giannis che ad un giornalista che gli chiedeva se la stagione fosse un fallimento, ha risposto: “tu ricevi una promozione ogni anno? no, giusto? quindi il tuo lavoro ogni anno è fallimentare? Non c’è fallimento nello sport.  Ci sono giorni buoni e giorni cattivi. Alcuni giorni riesci ad avere successo, altri no.  Lo sport è questo e non si vince sempre. Michael Jordan ha giocato 15 anni e vinto 6 titoli, quindi negli altri 9 ha fallito?”.

Parole da scolpire nella pietra. Questa è esattamente la mia concezione dello sport, è il mio modo di viverlo e analizzarlo. E mi auguro che a fine stagione, quando in società si faranno le normali valutazioni, il metro di giudizio non sia basato solo sui risultati, ma su quanto il gruppo segua il credo e le idee del loro allenatore. Questo e stop.  Perché non vincere e non raggiungere gli obiettivi può capitare, ma la cosa fondamentale è che si creda totalmente in ciò che si fa.  E la risposta la possono dare solo i protagonisti. Ora, testa alla Lazio. Che poi arriva LA settimana.

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