Olympic Face

Le sette giornate di Straulino

Nicolò Rode e Agostino Straulino - Foto Archivio Fotografico CONI

“Avete perso la guerra, mica vorrete vincere l’Olimpiade?”. Il 12 agosto 1948 il cielo sopra la baia di Tor è più nuvoloso del solito per l’Ammiraglio Agostino Straulino. Il concorso olimpico di vela classe Star dei Giochi di Londra è un rompicapo degno di Agatha Christie, la più illustre cittadina di Torquay: il “Legionario”, l’imbarcazione italiana in lotta per le medaglie, è stato squalificato due volte, di cui almeno una molto discutibile, e al reclamo inoltrato il Comandante si è sentito rispondere con fumose motivazioni politiche. In più, nella regata finale ha rotto l’albero a cento metri dal traguardo, finendo al quinto posto, con il solito oro degli americani che alle Olimpiadi partono sempre come grandi favoriti. Per forza: le barche Star le hanno inventate loro nel 1911 e oggi ne hanno più di duecentomila, mentre da noi si fa fatica ad arrivare al migliaio. La Star è “la” barca olimpica, riconoscibile a occhi chiusi con la sua randa enorme con disegnata una caratteristica stella rossa che diventa dorata per i campioni del mondo: è entrata nel programma olimpico a Los Angeles 1932 e vi rimarrà fino a Londra 2012 (con la sola eccezione di Montréal 1976).

La storia di Agostino Straulino è per forza anche una faccenda politica. A cominciare dal suo luogo di nascita, Lussimpiccolo, il centro principale dell’isoletta di Lussino che oggi è territorio croato (con il nome di Losinj) ma cent’anni fa, dopo la Prima Guerra Mondiale, era italiana. Lussimpiccolo è una specie di capitale europea della vela. Quando nelle Accademie Navali italiane c’è bisogno di un timoniere, la ricerca inizia da quelli di Lussimpiccolo, garanzia di qualità. A Lussimpiccolo sono tutti marinai, lavorano nei cantieri e costruiscono addirittura una peculiare imbarcazione locale, la passera lussignana, su cui i vari cantieri si sfidano tra di loro una volta all’anno in una regata sentitissima. Quando nel 1932 il giovane “Tino” si diploma all’Istituto Nautico, papà Piero gli fa un indimenticabile doppio regalo: una barca a vela e un permesso di due anni, un periodo sabbatico in cui potrà andare per mare dove e quando vorrà, lungo le coste della Dalmazia, inseguendo il vento e la vocazione. Così, nel 1934, Straulino è già un prodotto fatto e finito per l’Accademia: alla prima regata, dice la leggenda, lo mettono come prodiere su una Star, un tipo di barca su cui non è mai salito prima. Il suo compito è occuparsi del fiocco, ma il timoniere combina un pasticcio e Straulino si ferisce a una mano. Il collega propone di ritirarsi, ma il futuro Comandante esibisce subito la propria stoffa: “Scambiamoci i ruoli, posso timonare con una mano sola”. Finiscono secondi, e in Accademia si accorgono di avere un fuoriclasse.

1952 Helsinky, vela, lo star Merope dell’USVI col quale il T.d.V. Agostino Straulino e il cap. Nico Rode hanno vinto nel ’52: campionati d’Europa, campionati del mondo, olimpiadi a Helsinky.

La Seconda Guerra Mondiale interrompe l’idillio del predestinato e oltretutto assegna l’Istria alla Jugoslavia di Tito: Lussino smette di essere italiana. Arruolato nella Decima Mas, ufficiale di un gruppo di nuotatori d’assalto specializzati in incursioni subacquee dal nome di Gruppo Gamma, Straulino si rende protagonista di alcune prodezze militari come quando guida una spedizione che piazza cariche magnetiche sotto le navi inglesi nella rada di Gibilterra. Dopo l’8 settembre rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò e si mette in attesa di tempi migliori, che però rischiano di non arrivare mai quando un brutto giorno, nel 1946, durante un’operazione di sminamento al porto di Taranto, viene sorpreso dall’esplosione di una granata a pochi passi. Diventa cieco, ha paura di rimanerlo per sempre, invece la riabilitazione riesce lenta ma costante. In quella lunga zona d’ombra ottiene il permesso di sentirsi ancora atleta e di allenarsi di notte. E come abbiamo visto, nel 1948 va a tanto così da una clamorosa medaglia olimpica a guida del “Legionario”.

Passano quattro anni e il capitano di corvetta Straulino, severo e inflessibile (pretende che gli sia inderogabilmente dato del lei, a cui spesso risponde con il tu) ma anche dotato di estremo fair play, inizia a inanellare titoli europei e mondiali con il concittadino Nicolò “Nico” Rode, tenente di vascello pure lui di Lussino, stavolta a bordo di “Merope”, una barca che la nostra Marina Militare ha acquistato nel 1950 in un cantiere del Connecticut. Nella baia di Harmaja, campo-gara di Helsinki 1952, i lussignani sono addirittura quattro: ai due italiani va infatti aggiunta la coppia che corre per le insegne della Jugoslavia, Mario Fafangel e Karlo Basic, amici d’infanzia. Anche stavolta il pronostico è scontato: comanda Team USA ovvero “Comanche”, l’imbarcazione timonata da John Price, che non fa mistero di adorare le poderose raffiche di vento del Mar Baltico. E difatti domina la prima delle sette regate, subito rintuzzata da “Merope” che grazie al vento leggero si aggiudica con grande distacco la seconda e sarebbe in testa anche per gran parte della terza, sotto una pioggia battente, prima di perdere una trentina di secondi per un guasto al fiocco e dover cedere la prima posizione. È subito chiaro che il discorso per l’oro è limitato a due sole imbarcazioni: Comanche vince più regate di Merope (4-2 nelle prime sei), ma Merope è più continua, piazzandosi sempre al secondo posto quando non riesce a primeggiare. Si arriva così all’ultima regata, lunedì 28 luglio, con gli americani in testa ma una situazione molto precisa: per vincere l’oro, l’Italia dovrà arrivare prima e sperare che gli avversari si classifichino oltre il terzo posto. Nico Rode, più fumantino e sospettoso del suo ammiraglio, trascorre tutta la notte di guardia alla preziosa Merope, temendo manomissioni clandestine degli altri equipaggi.

1952 Helsinky, vela, Straulino e Rode, star “Merope”.

L’ultima regata può anche diventare un’occasione di gloria per tutti gli equipaggi che hanno vissuto il concorso olimpico in tono minore, senza mai una chance di mettersi in mostra. Il meteo sorride all’Italia: il cielo è limpido, il vento appena leggero. A sparigliare le carte arrivano proprio gli jugoslavi, a capo di una barca davvero pessima, che però sono pur sempre gente di Lussimpiccolo, sempre e comunque abituata all’eccellenza. Mario Fafangel ha promesso al suo prodiere almeno una partenza sparata, per vedere l’effetto che fa. E mantiene la promessa: parte forte e si porta davanti a tutti, quando a un certo punto sente un urlo alle sue spalle. “Mario, vira!”. È Straulino, in lotta per l’oro, che gli chiede di farsi da parte: un sacrificio enorme per un velista, che in condizioni normali non cederebbe la posizione nemmeno a suo fratello. Nell’ambiente si favoleggerà a lungo su questa specie di “patto”, e dal canto suo la versione di Straulino sarà sempre accomodante: “Ci siamo dati una mano fra lussignani, fermo restando che c’era una differenza enorme tra loro e noi. Quel giorno avevamo messo una vela particolare che rendeva moltissimo e andavamo come lepri. Però arrivati a quel punto, ci siamo guardati negli occhi, lui ha virato di bordo e ci ha fatti passare”. E non ce n’è più per nessuno: Merope è prima, Comanche è ottava, e siamo campioni olimpici. E prima di salutarci, lasciateci spiegarvi la definizione di “gran pavese”, che nel linguaggio marinaresco è una serie di bandiere che le navi innalzano in caso di occasioni solenni. Proprio come la vittoria di un oro olimpico nella Star: i primi a festeggiare Rode e Straulino col gran pavese sono i marinai del “Prometeo”, la barca arrivata dall’Italia in Finlandia apposta per fare il tifo.

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