In Evidenza

Il primo Scudetto di Simone Inzaghi: la forza della credibilità per l’Inter dei sogni

Festa Scudetto Inter
Festa Scudetto Inter - Foto IPA

L’unico limite del passato che ancora non ha superato è la paura dei cartellini gialli, visto che contro il Napoli i due calciatori ammoniti prima del 90′ (Pavard e Barella) sono stati entrambi sostituiti immediatamente. Per il resto Simone Inzaghi è tutto un altro allenatore rispetto a quello che nel 2016 prese le redini della Lazio dopo l’esonero di Stefano Pioli. E lo Scudetto – il primo della sua carriera e il 20esimo della storia dell’Inter – è il premio di un percorso sempre coerente alle sue idee, ma con trasformazioni importanti che hanno reso la sua squadra protagonista in Italia e in Europa. La scelta di Marotta e Ausilio di affidare il post Conte a Simone Inzaghi nel 2021 era impopolare (veniva da un sesto posto deludente con la Lazio), ma anche la più ovvia in una fase di ridimensionamento (furono ceduti Hakimi e Lukaku) e nell’ottica di un mercato a costi bassi. La squadra giocava già con un 3-5-2, ma sotto Inzaghi si è registrato il salto di qualità e non era scontato. Nei suoi anni alla Lazio il tecnico ha permesso a diversi calciatori di rendere su livelli più alti delle loro potenzialità, garantendo un’interpretazione efficace di più fasi di gioco. La sua prima Inter, quella che segnò 15 gol nelle prime quattro partite della Serie A 2021-22, sapeva già raggiungere picchi di prestazione altissimi, forse al livello di quelli attuali, ma senza la ferocia e la continuità mostrati in questa stagione. Sedendo sulla panchina nerazzurra, Inzaghi ha messo in bacheca cinque trofei nazionali, oltre ad aver collezionato un secondo posto nel 2021/22 in campionato e una finale di Champions nel 2022/23. Mancava solo lo Scudetto e quello è arrivato con un gioco ancor più spumeggiante e la disponibilità totale dei suoi calciatori, grazie ad una credibilità che Inzaghi ha costruito nel tempo.

Prima di Natale aveva anticipato la possibilità di vedere un gol costruito con l’assist di un braccetto di difesa per il braccetto opposto, dopo che l’azione sviluppata da quinto a quinto (Dimarco a Darmian o Dumfries o viceversa) era ormai diventata una dinamica di gioco abituale nelle partite dei nerazzurri. “Da terzo a terzo è un po’ dura ma da terzo a quinto si può fare. Palla di Bisseck e gol di Dimarco si può fare”, aveva detto Inzaghi. E invece i suoi calciatori lo hanno smentito trovando lo scorso marzo a Bologna una rete su assist di Bastoni per Bisseck. Il tutto in un’azione manovrata e non sugli sviluppi di un calcio piazzato. Non c’è manifesto migliore per descrivere un’Inter senza ruoli e in continua trasformazione. La partita perfetta, la migliore della stagione, è stata forse la sfida al suo passato in un habitat naturale: il 3-0 alla Lazio in Supercoppa Italiana, il lasciapassare per la vittoria del trofeo che gli ha permesso di diventare il tecnico con più vittorie (5) nel torneo. Ventitré tiri contro i 5 (zero in porta) della Lazio, con 574 passaggi riusciti contro i 344 dei biancocelesti. Troppo per chiunque. Anche per il Milan, sconfitto 5-1 all’andata. In quel caso i numeri erano opposti: i rossoneri avevano più dribbling (6 a 2), passaggi riusciti (473 a 282) e verticalizzazioni completate (222 a 131). Eppure, i tiri nello specchio degli uomini di Pioli furono appena due. Entrambe le squadre avevano vinto le prime tre partite in campionato e approcciavano al derby con la massima fiducia. Eppure, il verdetto fu inequivocabile, storico e decisivo ai fini della stagione. Un’iniezione di autostima da una parte, un crollo di certezze dall’altra. Non potevamo saperlo, ma il campionato era già finito.

SportFace