Calcio

Maldini: “In Italia non mi vedo in un club diverso dal Milan. Allo stadio non ci vado, mi sembra logico”

Paolo Maldini
Paolo Maldini, Milan - Foto LiveMedia/Agn Foto

Ospite del format “Storie di Serie A”, Paolo Maldini ha rilasciato una lunga intervista a Radio Tv Serie A con Rds, toccando vari temi, dalla sua carriera da calciatore a quella da dirigente, con il Milan come massimo comun denominatore: “Il Milan è sempre stata la squadra della mia città, qualcosa che va al di là del tifo e del lavoro e sarà così per sempre. Mi ha insegnato tanto come valori e come principi, ma sono gli altri a poter dire se io sono custode del milanismo o meno. Fatto sta che la storia parte negli anni 50 con mio padre e prosegue ancora oggi con mio figlio Daniel“.

Quando sei dentro la società il ruolo impone la responsabilità, ma per il resto io mi sento semplice Paolo, e non Paolo Maldini del Milan. Credo che la gente mi apprezzi proprio per il fatto che io non abbia mai scisso il calciatore e l’uomo. Cerco di fare la mia traiettoria di vita – ha proseguito, raccontando poi gli inizi – Il calcio mi è sempre piaciuto, ero a conoscenza del passato di mio papà perché a scuola ne parlavano. All’inizio tifavo la Juventus perché la prima competizione che vidi fu il Mondiale del 1978 e l’Italia era di fatto la Juventus più Antognoni, quindi seguivo la Juve come la Nazionale. Da quando ho fatto il provino con il Milan, però, è iniziata un’altra storia, la mia storia“.

Maldini si è poi soffermato proprio su quel momento: “Quando mi chiesero che ruolo facessi non lo sapevo perché ai giardinetti giocavo in tutti i ruoli. Mi dissero che c’era libero un posto da ala destra e io accettai. Poi mi fecero firmare il cartellino. Giocare in ruolo è stato molto utile, ma verso i 14 anni mi hanno  spostato terzino. Ricordo che da piccolo mi piaceva dribblare e attaccare, mentre la tattica l’ho fatta in prima squadra. Se c’è una cosa che mi ha insegnato giocare all’oratorio, quando magari invece del pallone si giocava con una palla di carta fatta con lo scotch mi ha aiutato nel timing, a prevedere i rimbalzi che avrebbe fatto la palla“.

Il mio esordio? Liedholm mi disse ‘Malda entri’. E’ lui che mi ha insegnato a giocare a calcio, dicendomi sempre che bisognava divertirsi – ha aggiunto – Non penso che il calcio mi abbia tolto qualcosa. Al massimo un pezzo di gioventù visto che da ragazzo non uscivo mai perché dovevo giocare. Ma anche la disciplina è stata una mia scelta ed ha pagato. Posso dire che mi ha tolto la mia integrità fisica visto che oggi tirare un calcio a un pallone mi fa male e potenzialmente è pericoloso. Riesco invece a giocare a tennis“.

Il racconto di Maldini è poi proseguito con il Milan di Berlusconi: “Silvio ha portato un’idea visionaria. Ricordo che il primo giorno disse che voleva che il Milan giocasse il calcio più bello di tutti e che saremmo diventati campioni del mondo. Vedemmo che faceva sul serio l’anno dopo – perché quando arrivò fu a stagione in corso – quando cambiò tutto: preparatori, strutture, alimentazione. Il nostro rapporto non si è mai logorato, anzi ci scambiavamo battute e sono anche diventato amico di Pier Silvio. Una volta sono stato invitato ad Arcore, dove c’era anche Galliani, e li ho ringraziati per tutto quello che avevano fatto per me e per il Milan“. Poi un aneddoto: “Pochi giorni prima della sua morte, quando uscì dall’ospedale, mi chiamò per parlare di possibili scambi tra giocatori del suo Monza e il Milan. E’ stato divertente, il calcio lo ha accompagnato fino alla fine“.

Sugli allenatori che si sono susseguiti sulla panchina rossonera, invece: “Con Sacchi è stata davvero dura sia fisicamente che mentalmente, c’è voluto tempo per adattarsi. Ricordo che al venerdì mi chiedevo come avrei fatto a giocare la domenica. E’ stato però importante per alzare il livello di sopportazione, l’abbiamo capito con la vittoria a Verona dopo un mese e mezzo. Capello invece era un giocatore in panchina. Ha portato avanti in lavoro di Sacchi e penso che con lui si sia visto il miglior Milan di sempre. Sono convinto che avere nell’ordine Liedholm, Sacchi e Capello sia stata una fortuna immensa per la mia evoluzione“.

La coppa più bella? Forse quella vinta a Manchester perché ero capitano e perché è arrivata 9 anni dopo l’ultima. Il giocatore più forte con cui abbia mai giocato? Franco Baresi era un giocatore pazzesco, parlava poco: era perfetto. Anche Van Basten è stato incredibile. Poi ci sono stati altri giocatori come Ronaldo e Ronaldinho arrivati in momenti non idilliaci della carriera. Quello più forte che ho affrontato? Il Ronaldo, ma quello dell’Inter, era qualcosa di impossibile – ha continuato Maldini – Non aver vinto il Pallone d’Oro non è un rimpianto. Essendo un premio personale non era un obiettivo che mi ero prefissato. Così come Istanbul non è un rimpianto perché dopo c’è sempre Atene. Il no a Lippi per i Mondiali 2006? A causa di problemi al ginocchio già faticavo con il doppio impegno. E poi avevo già detto no a Trapattoni per gli Europei 2004“.

L’ex calciatore si è poi soffermato sulla sua carriera da dirigente: “Ho deciso di farlo perché mi hanno chiamato ed è arrivata l’opportunità. Non avevo ancora scelto cosa fare dopo il ritiro, ma sapevo cosa non volevo fare: l’allenatore e lavorare in tv. Ho accettato perché era il Milan e perché ho potuto lavorare con una persona come Leonardo che aveva i miei stessi ideali. I primi dieci mesi sono stati di adattamento. Mi sentivo inadeguato e non ero contento del lavoro, ma Leonardo mi diceva che solo anni dopo avrei capito il mio impatto. In Italia ho sempre detto che potrei svolgere questo ruolo solo al Milan o in Nazionale. Non ce la faccio a vedermi in un club diverso“. Quindi un retroscena sul Psg: “Sono andato due volte a Parigi per incontrare Al-Khelaifi e gli ho dato la mia disponibilità. Poi però non si è andati avanti e credo che sia stato un bene. Non conosceva la città, la lingua, l’ambiente e il club era ancora in fase di definizione: sarebbe stato un fallimento“.

Lo scudetto vinto dall’Inter? Il segreto sta nella struttura dell’area sportiva, con un’idea precisa e contratti lunghi. Si dà spesso poca importanza alla gestione del gruppo, ma i ragazzi hanno bisogno di qualcuno che li guidi, che parli con loro e che gli dica come stanno le cose. Non è un caso che il Napoli sia andato male dopo l’addio di allenatore e direttore sportivo – ha concluso Maldini – Non vado allo stadio a vedere il Milan, mi sembra logico. Continuo però a seguirlo, insieme al Monza di Daniel“.

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