Editoriali

Tennis: l’Italia, la Davis e il giallo della maglietta rossa

Paolo Bertolucci, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta

Italia-Argentina di Davis ci ricorda un epilogo. Quello della più forte (con Pietrangeli-Sirola) coppia di doppio che il tennis italiano abbia mai schierato in Coppa Davis: Panatta e Bertolucci. Con la maglia azzurra i due giocarono 30 incontri vincendone 22. L’ultimo, l’epilogo appunto, fu proprio contro l’Argentina di Vilas e Clerc nel 1983. Non ci fu storia, né in quel doppio né tanto meno nel confronto, che gli argentini vinsero 5-0 contro un’Italia ormai pronta al ricambio generazionale.

Questa ricorrenza, ma soprattutto il lavoro di “ricerca storica” fatto negli ultimi mesi con Alessandro Nizegorodcew per il nostro “1976, Storia di un trionfo” mi ha fatto venir voglia di scrivere su un episodio che ancora oggi divide gli storici del tennis: la maglietta rossa con la quale i nostri due eroi nazionali scesero in campo il 18 dicembre 1976 all’Estadio Nacional di Santiago del Cile contro i cileni Fillol e Cornejo, nel doppio decisivo che ci consegnò la Coppa Davis. Fu un gesto mirato, a sfondo politico, o fu casuale scendere in campo con le magliette rosse in casa del dittatore Pinochet? Ancora oggi lo stesso Nicola Pietrangeli (intervistato da Giampaolo Roidi in occasione della presentazione al Tennis Parioli del nostro “1976, Storia di un trionfo” e di “Coppa Davis 1976 una storia italiana” di Lorenzo Fabiano) dice che all’epoca lui non ne sapeva nulla. Giancarlo Baccini, da me intervistato per il libro, la considera addirittura un’invenzione: “Non ho mai creduto alla storia della maglietta rossa. Al valore politico e provocatorio di quel gesto. Noi giornalisti, che pure in quell’epoca respiravamo con loro l’aria dello spogliatoio, non ne sapevamo nulla. La storia uscì fuori solo qualche anno fa, forse costruita ad arte in occasione dell’uscita del film di Mimmo Calopresti, appunto Maglietta rossa”.

Con Paolo Bertolucci ho scritto Pasta Kid (Ultra edizioni, 2015), e non ho mai avuto nessun dubbio sulla versione dei fatti che Paolo ha lasciato sulla sua biografia. Adriano che piomba nella sua stanza alla vigilia del doppio e gli fa: “Paolo domani giochiamo con la maglietta rossa. Dobbiamo dare un segnale” (Bertolucci naturalmente, molto meno votato alle provocazioni di Adriano, fece resistenza ma alla fine, come sempre, vinse Panatta).  Pure Panatta, che non ha mai nascosto le sue simpatie a sinistra, nel suo “Più dritti che rovesci” pubblicato nel 2009 per Rizzoli, la spiega così: “Vado, provoco, vinco”. Provocava anche Mario Belardinelli, Adriano, quando la mattina a Formia si presentava con Il Manifesto sotto braccio e lo metteva abilmente sotto gli occhi del Belarda, che si infuriava. Ma davvero possiamo pensare che nel 1976 , nel Cile che da tre anni viveva sotto la dittatura del generale Pinochet, qualcuno possa scendere in campo in una finale di Davis con la maglietta rossa fiammante così, per puro caso?

Tra i materiali d’archivio che con Alessandro abbiamo disseppellito dall’oblio e dalla polvere, oltre a vecchie diapositive e rassegne stampa di 40 anni fa c’è anche un documento straordinario. Il disco di vinile “Le mani sulla Davis” di Mario Giobbe, che in quegli anni seguì e racconto per Radio2 tutte e quattro le finali di Davis giocate dagli azzurri. Fu prodotto e distribuito nei primi mesi del 1977, e racconta l’anno magico del tennis italiano: non solo la Davis ma anche le vittorie di Panatta e Roma e Parigi. Riversatolo su dvd, abbiamo potuto riascoltare le voci dei giocatori, di Belardinelli, Pietrangeli (ma anche Nastase), il tifo del pubblico del Foro Italico durante il match con gli australiani Newcombe e Roche. Intervistato sulla finale, Bertolucci dice: “La vigilia del doppio fu tranquilla, anche se prima di scendere in campo ci fu qualche discussione sul colore della maglietta con la quale saremmo dovuti scendere in campo. Alla fine come al solito la ebbe vinta Adriano, e scendemmo in campo con la maglietta rossa. Al cambio di campo altra discussione, ma stavolta vinsi io, e tornammo in campo con la maglietta blu”.

Che la cosa non fosse uscita fuori vuol dir poco: erano altri tempi, l’obiettivo (“segnale”, o “provocazione”) era raggiunto e quelli (Adriano, Paolo) erano altri personaggi. Oggi forse i protagonisti si sarebbero fatti un selfie, e la maglietta rossa l’avrebbero postata su Instagram.

SportFace