[the_ad id=”10725″]
Andy Murray è tornato sotto i ferri. Solamente ad operazione compiuta lo scozzese è uscito allo scoperto dichiarando di essersi ‘arreso’ alla chirurgia, che aveva definito qualche settimana prima “un’opzione che vorrei evitare”. Già, perché non è bastato lo stop ai box dopo la dolorosa eliminazione a Wimbledon per guarire dai problemi all’anca che lo avevano penalizzato nella prima parte di stagione, in cui ha voluto stringere a tutti i costi i denti per mantenere quel numero 1 nel ranking così a lungo inseguito, raccogliendo come effetto collaterale di dover allungare di altri sei mesi il suo esilio dal circuito.
Proprio su questo ha posto il punto Andy parlando con giornalisti inglesi: “Non giocherò più con l’obiettivo del numero 1. Sarò più oculato nelle mie scelte, il mio calendario sarà concentrato su Slam e grandi tornei”. D’altronde non può essere un caso che i suoi infortuni più gravi siano arrivati nella stagioni successive ai suoi exploit. Quella odierna, infatti, è già la seconda operazione chirurgica cui Murray si sottopone. A fine 2013, dopo aver chiesto tanto al suo fisico per trionfare due volte sull’erba dei Championships (prima con l’oro olimpico nel 2012, poi a Wimbledon l’anno dopo) e alzare il tanto agognato primo Slam a New York, lo scozzese fu costretto a saltare gli ultimi importanti eventi per eliminare i problemi alla parte bassa della schiena. E nel 2014 il ritorno non fu così agevole: nonostante il rientro a gennaio, Murray non riuscì neppure a mantenere il proprio posto in top-10 per la prima volta dopo sei anni. Il primo titolo stagionale arrivò solamente nel 250 di Vienna in autunno inoltrato, una magra consolazione per raggiungere almeno cifra tonda a quota 30 sigilli sul circuito maggiore in carriera.
Questa volta la risalita si preannuncia ancor più ripida. Andy si è prefissato come obiettivo minimo il ritorno sull’erba per non mancare il sentito appuntamento con Wimbledon: presupponendo un ritorno al Queen’s, Murray si ritroverà con soli 360 punti nel ranking (derivanti dai quarti di finale dello Slam londinese), una quota che al momento lo posizionerebbe al numero 155 al mondo, tra Tatsuma Ito e Marcel Granollers. Sembra essere passata un’eternità da quel 7 novembre 2016 in cui finalmente coronava il suo sogno e metteva la freccia su Novak Djokovic agguantando il trono. Il suo regno è però durato circa dieci mesi, prima di cederlo a Nadal con il forfait ai Masters 1000 americani estivi, preludio di un nuovo calvario.
Sicuramente, in caso di ritorno ad alti livelli, la risalita ai piani alti delle classifiche mondiali non dovrebbe essere così dura per il tre volte campione Slam. Questo è anche ciò che si è augurato Murray nel post sui social: “Non vedo l’ora di iniziare la riabilitazione, mi lascerò dietro tutto questo”. Eppure, come spiegava il suo connazionale Andrew Castle – ex numero 1 britannico – ai microfoni di BBC 5Live per un tennista recuperare da un problema all’anca è tra le cose più difficili considerando l’importanza di questa parte del corpo in ogni movimento, paventando addirittura la possibilità di un ritiro dal circuito. Al momento, appigliandosi alla decisione che traspare dalle parole del (ex?) “Fab 4”, è un’opzione più che remota. Andy tornerà e ci proverà con la stessa dedizione con cui ha saputo oltrepassare i propri limiti raccogliendo forse un po’ troppo tardi (e troppo poco, riferendoci esclusivamente al numero di Slam) ciò che meritava. A quasi 31 anni, mentre anche il “gemello” Djokovic (separati da soli sette giorni all’anagrafe) è alle prese con un complesso rientro, gli toccherà studiare e magari rubare qualche trucco del mestiere dai colleghi Rafael Nadal e Roger Federer, tornati a dominare il circuito quando ormai sembravano sul viale del tramonto. Dal Paradiso all’Inferno e ritorno: non tutto è (ancora) perduto.