Amarcord

Nadia Comaneci e il 10 perfetto a Montreal 1976

Nadia Comaneci - Foto Dave Gilbert CC BY-SA 2.0

La perfezione non esiste. Semplicemente, a 14 anni ho fatto qualcosa che nessuno si aspettava”. Nadia Comaneci è poco più di una bambina con un nastrino bianco e rosso tra i capelli, le labbra sottili, gli occhi profondi da principessa dei Carpazi e le sopracciglia scure quando entra nello stadio di Montreal per il suo esercizio alle parallele asimmetriche. È una ragazzina che dorme ancora con la sua bambola preferita e adora Alain Delon.

Quattro anni prima, le Olimpiadi le guardava da casa. Ammirava Ludmilla Tourischeva, oro nel programma completo, si esaltava per Olga Korbut, la prima a eseguire un salto mortale alle parallele asimmetriche, un movimento che ancora oggi porta il suo nome. “La sua prestazione rivoluzionaria trasformò l’immagine della ginnastica artistica nel mondo” scriveva il Guardian. “Quello sport diventò improvvisamente uno dei primi motivi d’interesse di un’Olimpiade, oltre che lo sport preferito dalle bambine di ogni parte del mondo. Korbut ruppe le barriere dello sport facendo qualcosa di inimmaginabile. Ma ciò che la rese famosa fu, per un altro verso, la sua normalità”. A Monaco, Korbut ha conquistato anche il presidente Usa Richard Nixon e fatto raddoppiare il numero di ragazzine americane avviate alla ginnastica nelle high school.

A Montreal, però, il tempo di Olga Korbut finisce: all’improvviso, la sovietica è il passato, è il volto di una ginnastica che non esiste più. “Per noi ginnasti, Nadia è un mito vivente” raccontava a Repubblica Juri Chechi, che iniziava a frequentare le palestre proprio in quei giorni. “Prima il nostro sport era bello ma poco acrobatico, con lei divenne più difficile, arricchito da salti mortali, doppi avvitamenti, salti alla trave, passaggi più spettacolari alle parallele, e tutto questo garantendo una maggiore precisione nei movimenti. E’ stata per noi come Fosbury per il salto in alto”.

L’ha scoperta a sette anni Bela Karolyi. Mentre gira le scuole elementari per trovare nuovi talenti, la vede svolgere qualche esercizio con un’amica. Poi suona la campanella e la perde di vista, ma rimane a girare per le classi finché non la ritrova. Così da Onesti, cittadina nei Carpazi dove è nata da papà Gheorghe, meccanico, e mamma Stefania-Alexandrina, un’operaia, entra nella scuola gestita da Karoly e da sua moglie Marta. Nel giro di un anno, Nadia partecipa al suo primo meeting: arriverà tredicesima.

Karoly è stato un ex campione junior di pugilato e un martellista di livello nazionale. Usa metodi a dir poco controversi, anni dopo le atlete che l’hanno conosciuto hanno confessato una realtà di botte, di schiaffi, una scuola definita come una prigione. Una scuola in cui i coniugi Karoly portavano bambine ancora piccole e le facevano allenare anche sei ore al giorno. È la replica del modello sovietico, già importato nella Germania dell’Est, in cui i talenti migliori hanno a disposizione il meglio delle strutture e dei coach, ma ereditano anche una pressione per lavorare duro e vincere senza precedenti. I Karoly, però, aggiungono anche un’inusuale, profonda conoscenza della ginnastica e di quel che serve per creare atleti di successo, dalla psicologia alla politica.

Nel 1976, la Romania arriva a Montreal come una nazione sconosciuta al pubblico degli appassionati di ginnastica, abituati al dominio delle campionesse dell’Urss e della Germania Est, anche se Comaneci ha vinto tre ori agli Europei in Norvegia l’anno prima. Karoly sa di avere una nazionale di altissimo livello, ma teme che questo fattore possa penalizzare le sue atlete nelle valutazioni dei giudici. Così, nell’ultimo giorno di allenamenti prima dell’inizio delle gare, in una sessione aperta al pubblico, quando le rumene vengono chiamate per il loro turno, non le fa uscire subito. Aspetta che vengano chiamate tre volte. Non capisce l’inglese usato dall’annunciatore, dice. Ma non è vero. È una strategia. Adesso il pubblico è curioso di vedere finalmente queste ragazze, tutti gli occhi sono su di loro quando finalmente si presentano sulle pedane. Le ha vestite tutte nello stesso modo, body rosso e nastro bianco fra i capelli, un’abitudine, ha scritto il biografo di Nadia Comaneci, che le ragazze rumene hanno preso in segno di purezza anche se già Olga Korbut iniziò a usarlo all’inizio degli anni Settanta.

Sono più piccole delle altre ginnaste, sono alte tutte nello stesso modo e Karoly le ha abituate a eseguire gli esercizi come fossero delle macchine. Non si parlano, non mostrano emozioni. Si siedono in linea e completano una scia di evoluzioni perfette, una dopo l’altra. “Le ragazze rumene hanno offerto al pubblico un’autentica bellezza”, ha scritto Bill Sands, decano dei giornalisti esperti di ginnastica, “ma era più la bellezza dell’ingegneria, non quella che nasce dalle forme d’arte come la danza, una bellezza che sacrificava la capacità di emozionare e l’abilità di comunicare un messaggio”. È una scelta anche rischiosa, perché i giudici tendono ad essere più impressionati e a valutare più generosamente le esibizioni più “teatrali”.

Il pubblico comunque è elettrizzato. “Dopo quella giornata di allenamento” scriverà Karoly, “durante le gare nessuno guardava più le sovietiche. Tutto il pubblico era concentrato solo sulla Romania”. Il palcoscenico è pronto per Nadia Comaneci. Alla trave, Nadia dimostra subito quanto la ginnastica sia progredita e sia ora molto più difficile rispetto a quattro anni prima. Nel 1972, l’esercizio che era valso l’oro a Olga Korbut comprendeva un solo salto.

Nadia ne inserisce sei, con un livello molto più alto di rischio: il suo è un esercizio acrobatico, che richiede abilità decisamente superiori. Ma è alle parallele asimmetriche che Nadia stupisce il mondo. Per la prima volta nella storia, si vede un’atleta che stacca la presa con la mano dalla sbarra più alta per eseguire un salto mortale in avanti, un movimento che ancora oggi è tra i più difficili tra quelli che si vedono ai livelli più alti. Un altro aspetto che rivoluziona il mondo della ginnastica è l’uscita. Nadia mette i piedi sulla sbarra più alta, fa scivolare il corpo sotto e completa l’esercizio con un salto mortale all’indietro che diventerà il movimento di uscita standard per le successive tre Olimpiadi. È una sintesi di tutte le sue doti, come le racconta Karolyi. “Ha doti fisiche, forza, velocità, agilità. Ha qualità intellettuali, mostra intelligenza e capacità di concentrazione. E soprattutto, ha coraggio”. Quel coraggio che la porterà, da vicina di stanza di Agnes Mura, inviata in Romania dal presidente del comitato organizzatore, a contribuire al salvataggio dei Giochi di Los Angeles dalla minaccia di boicottaggio del blocco sovietico. Quel coraggio che la porterà a scappare nel 1989 negli Stati Uniti, a disertare senza nemmeno salutare la madre, dopo essere stata segregata e violentata dal figlio di Ceausescu, che beveva solo whisky e con lei tradì la timida moglie Poliana.

Nadia è perfetta, ma i giudici adesso non sanno cosa fare. Prima dei Giochi, i rappresentanti di Omega, la compagnia svizzera che dal 1932 mantiene la responsabilità dei cronometraggi e dei punteggi alle Olimpiadi, hanno contattato il CIO per chiedere se non fosse opportuno modificare i tabelloni dove sarebbero comparsi i punteggi per la ginnastica, che allora andavano dallo 0 al 10, in modo da contenere fino a quattro cifre. “Mi dissero che il 10.00 era impossibile”, ha ricordato al Guardian Daniel Baumat, ora vicepresidente di Swiss Timing, “perciò abbiamo mantenuto i tabelloni a tre cifre”.

Così, per un istante, quello che Nadia Comaneci ottiene per un esercizio rivoluzionario è un perfetto 1.00. “Non capivo cosa volesse dire” racconterà anni dopo, “all’inizio mi sentivo un po’ frustrata perché credevo che il mio esercizio valesse un voto più alto di uno”. Presto, però, tutti capiscono di aver assistito alla rivoluzione, alla perfezione. Nadia Comaneci ha ottenuto il primo 10 nella storia delle Olimpiadi.

Il momento più commovente del programma, però, è l’ovazione per Olga Korbut alla trave: il 9.9 le vale solo l’argento dietro Comaneci. A 21 anni, come l’Ofelia immaginata da Bob Dylan nella sua “via della povertà”, Olga si vede, si sente già vecchia di fronte a quella bambina prodigio che ha rubato tutta la luce e l’attenzione. Al corpo libero, Korbut chiude sulle note di Milord, e lascia il palcoscenico olimpico, come una moderna Edith Piaf. Mentre Nadia, su quel tappeto, si esibisce leggiadra mentre il pianista esegue That’s my baby. È lei, la stella bambina dei Giochi di Montreal.

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