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Sguardo attento e concentrato a pochi centimetri dalla balaustra, un sorriso e un abbraccio sempre pronti a partire quando la musica finisce, per la soddisfazione di quanto di buono visto o per consolare se qualcosa non è andato come avrebbe dovuto. Perché sul ghiaccio in pochi minuti di programma si concentrano anni di allenamento e sacrifici, e un’allenatrice è anche questo: la prima a complimentarsi e a gioire, o a sapere da dove ricominciare. Lo sa bene Franca Anna Bianconi, allenatrice azzurra tra le più qualificate al mondo di pattinaggio di figura. Una carriera da pattinatrice giunta all’apice con la partecipazione alle Olimpiadi del 1980 a Lake Placid, e un’altra da coach iniziata nel 1981 che le ha regalato ancora più soddisfazioni. Franca Bianconi, uno dei pilastri di casa IceLab, è una preparatrice a tutto tondo, Technical Specialist ISU e commentatrice Rai in occasione delle competizioni internazionali, con la valigia sempre pronta e una condizione imprescindibile per portare avanti il proprio lavoro: voglia di vincere e fiducia nel lavoro di squadra. Conosciamola meglio.
I suoi inizi sul ghiaccio, in quel “tempio sacro” che era il palazzo del ghiaccio di via Piranesi…
“Il pattinaggio, ai miei tempi, era un fenomeno di quartiere. Si andava a pattinare al Piranesi per divertirsi nelle ore aperte al pubblico, per fare nuove conoscenze e, naturalmente, anche per fare un po’ di sano sport. Mi portò a sei anni la mamma, bella imbottita e dotata di guanti e cuffia in pelo per sfidare il freddo. Da sola ho cominciato a scivolare, ma ero un po’ goffa e impacciata e cosi, dopo qualche tempo, il “comitato tecnico” composto da mamma e zia Anna ha deciso che avrei dovuto prendere qualche lezione. Mi fu assegnato il maestro Burghardt, uomo di una certa età e disciplina che mi spiegò i primi passi. Mi piaceva imparare e volteggiare, e in poco tempo mi preparò per l’esame di idoneità. La federazione di allora, coordinata dalla signora Sonia Bianchetti, stava cercando nuove leve, io figuravo nei primi dieci classificati di quell’esame, avevo l’età giusta e mi fu regalato uno stage estivo di una settimana a Ortisei. Da lì nacque tutto, e da allora sono veramente pochi i giorni della mia vita in cui non ho messo i pattini. Ne è trascorso di tempo, ma la passione è ancora quella dei primi giorni”.
Tra gli altri, lei è stata allenata dal grande Carlo Fassi: che ricordo ha di questo campione? Cosa ha dato a lei e all’Italia?
“A dieci anni, conseguentemente ai progressi, fu scelto un gruppo di sei ragazzine che avrebbero trascorso due mesi estivi a Denver, alla corte del grande Carlo Fassi. Io ero in quel gruppo e da allora, per molte stagioni, le mie vacanze estive le ho trascorse sui ghiacci statunitensi. Ho avuto la fortuna di allenarmi in pista con grandi campioni come Dorothy Hamill, John Curry, Robin Cousins e Paul Wylie. Il “maestro Carlo” era un uomo carismatico, autoritario, un genio delle figure obbligatorie e sapeva comunicare ai suoi atleti la voglia di vincere. Alla Colorado Ice Arena insegnava ad atleti di tantissime nazionalità, ma la sua spiccata personalità e il suo modo di fare erano tipicamente italiani. Con sua moglie Christa, in pista il connubio di allenatori era perfetto”.
Una curiosità: ho letto che ha aperto una scuola di pattinaggio in Ecuador. Esiste ancora? Com’è nata questa idea?
“Nel 1996 un imprenditore di origini italiane ha costruito “Zona Fria”, una pista di ghiaccio 30×60 metri, con bar e tribune, a Guayaquil, la seconda città in Ecuador, dove la temperatura è intorno ai 40 gradi tutto l’anno. Cercavano allenatori di pattinaggio e hockey ghiaccio, così ho deciso di provare l’esperienza. Ho creato da zero una scuola, formato istruttori, insegnato a bambini e ragazzi di talento espressivo e musicale, portato avanti un corso per le “damas”, le signore bene del posto che volevano cimentarsi nel nuovo sport. Era divertente e motivante. Bisognava dare indicazioni su qualsiasi cosa, da come allacciare i pattini a come rifare il ghiaccio. Ho anche organizzato un grande show, invitando i migliori atleti italiani dell’epoca, tra cui Federica Faiella, Massimo Scali e Vanessa Giunchi. E’ stato un successo e mi sono molto divertita. La pista ha continuato qualche anno, poi purtroppo ha chiuso”.
La sua carriera da pattinatrice: le emozioni e i ricordi più importanti.
“Ovviamente l’emozione più grande è legata alla partecipazione ai Giochi olimpici di Lake Placid del 1980. Un’esperienza che non scorderò mai. Ricordo, inoltre, con piacere le trasferte più difficili e particolari: stage a Mosca, i Mondiali di Tokyo 1977, alcune esibizioni in Costa d’Avorio e a Bangkok”.
Dal 1981, invece, inizia una strabiliante carriera da allenatrice e da lì oltre 500 atleti e un numero indefinito di podi, medaglie e riconoscimenti che l’hanno resa uno dei simboli della scuola italiana. Che avventura è stata fino ad oggi?
“Un’avventura molto piacevole. Con alti e bassi, come sempre nella vita. Da giovane maestrina inesperta a caccia di segreti, nozioni tecniche e metodologie da mettere in pratica, all’attuale allenatrice con ormai una buona dose di esperienza, ma che non perderà mai la voglia di imparare. Ho adattato nel tempo le nozioni apprese in diversi Paesi alle necessità italiane, e ne ho elaborato un modello personale. Da qualche anno seguo atleti di molti Paesi, e mi pare che il mio approccio funzioni bene anche con loro. Da un anno, inoltre, con la nuova stupenda struttura IceLab di Bergamo, ho potuto mettere in pratica molti progetti nuovi, ottimizzare gli allenamenti e, di conseguenza, ottenere risultati ancor più prestigiosi. E’ un lavoro che mi impegna molto, ma sempre appassionante”.
Cosa le piace trasmettere e come le piace insegnare ai suoi atleti, in cosa consiste “il metodo Bianconi”?
“Ho un approccio sistematico: osservo, valuto le tecniche da utilizzare o da modificare e poi programmo a breve e lungo termine. Tengo tutto a mente e modifico a seconda delle esigenze. Lavoro sempre in team, con splendidi colleghi e ottimi collaboratori di cui mi fido molto e che ho scelto negli anni. Ognuno ha il suo ruolo e il suo compito: dai colleghi sul ghiaccio ai preparatori atletici, dal coreografo al mental coach, e io coordino gli interventi. Mi piace che l’atleta, giovane o esperto che sia, abbia fiducia in me, partecipi, sia responsabile del suo lavoro e condivida metodi e obiettivi. Poi io, caratterialmente, sono e sarò sempre me stessa, con pregi e difetti”.
Andremo a PyeongChang con ben 32 atleti, di cui 11 rappresentanti del pattinaggio di figura. Come vede questa delegazione azzurra? Quanto siamo competitivi in ottica medaglie?
“La delegazione Fisg sarà composta da 32 atleti, ed era dall’edizione casalinga di Torino 2006 che i convocati a un’Olimpiade non erano così numerosi. Ciò rappresenta già un successo. Per quanto riguarda gli 11 rappresentanti della figura, credo che potremo toglierci belle soddisfazioni. Carolina Kostner sarà la meravigliosa punta di diamante, con possibilità di podio, Anna Cappellini-Luca Lanotte seguiranno a ruota. Per le altre coppie, Nicole Della Monica-Matteo Guarise e Valentina Marchei-Ondrej Hotarek nell’artistico e Charlene Guignard-Marco Fabbri nella danza, l’obiettivo sarà un piazzamento di prestigio, mentre per Matteo Rizzo e Giada Russo si tratterà soprattutto di acquisire esperienza. E poi attenzione alle prova a squadre: l’Italia, dopo il bel quarto posto di Sochi 2014, potrà recitare da outsider”.
Agli Assoluti di dicembre abbiamo visto sul ghiaccio tre coppie di artistico senior e solo due junior. Cosa ci dicono questi numeri sullo stato di salute della specialità?
“Possono sembrare numeri irrisori, ma per essere una nazione così piccola, possiamo quasi parlare di miracolo. Le coppie devono corrispondere tante richieste tecniche e fisiche e hanno particolari esigenze di spazi-pista. La loro è la specialità più difficile. Non molti Paesi, in Europa e nel mondo, riescono a fare altrettanto e sono ben poche le nazioni che hanno coppie a livello assoluto. Non dimentichiamo poi da dove siamo partiti: una decina di anni fa non avevamo quasi nulla”.
Il portento Matteo Rizzo: doveva essere una stagione di normale crescita, invece, gara dopo gara, ha superato se stesso fino alle Olimpiadi. Qual è il segreto di questo ragazzo?
“Matteo per me è una sorpresa relativa, piuttosto sta confermando la maturità raggiunta. La scorsa stagione poteva già arrivare ad alti livelli, ma in estate ha subito un infortunio che ne ha condizionato e ritardato la preparazione. In questa, invece, tutto è andato bene e sin dalla prima competizione ha raggiunto un alto livello di prestazione, poi mantenuto. Quarto al Lombardia Trophy, la qualificazione Olimpica a Oberstdorf, il successo nella tappa del Grand Prix junior di Egna e il titolo ai campionati italiani. Il tutto in meno di tre mesi. Matteo ha testa, volontà e temperamento. Sono caratteristiche importanti per il successo di un atleta”.
La coppia Marchei–Hotarek: in pochi all’inizio ci avrebbero scommesso, lei li ha resi competitivi in pochi mesi. Come ha fatto?
“Le qualità che cerco in un atleta sono soprattutto la motivazione, la voglia di lavorare e un fisico adatto e ben preparato. Entrambi avevano questi requisiti già dall’inizio, con l’aggiunta di una grande esperienza agonistica internazionale. Abbiamo trovato il feeling giusto da subito e costruito programmi strategicamente adatti. Abbiamo prima impostato gli elementi di coppia e poi lavorato, lavorato e lavorato. Le sfide difficili sono anche le più entusiasmanti, ma l’unico vero segreto per riuscire è lavorare sodo”.
Trentasei anni da allenatrice: come ha visto cambiare questo sport? Era meglio prima o regala più emozioni adesso?
“Lo sport, nel tempo, è estremamente cambiato. Tecnicamente, negli ultimi anni, è cresciuto alla velocità della luce: i salti, per esempio, hanno aggiunto un giro in aria, la danza si è rivoluzionata nella qualità della pattinata. Ci sono lati positivi, come la maggiore oggettività nel giudizio tecnico, e quelli negativi, perché alcune rigide regole limitano molto la creatività. Le emozioni, comunque, ci sono sempre e il progresso non si può fermare”.
La sua vita sempre in viaggio: come riesce a fare tutto? A coniugare vita pubblica e privata?
“Ultimamente, in effetti, sono sempre con la valigia in mano. Per fortuna ho una splendida famiglia di sportivi che comprende le mie esigenze, e stare a casa resta per me il regalo più bello. Le poche volte che ci riesco mi godo il relax in poltrona, leggo, guardo le news in tv e cerco di “ricollegarmi” col mondo esterno. Nella bella stagione faccio qualche passeggiata nei campi. Inoltre adoro cucinare e, quando ho tempo, preparare una cenetta nella quiete di casa”.