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Chris Froome positivo al doping alla Vuelta 2017. La notizia rimbalza veloce sugli schermi degli smartphone in una fredda mattinata di dicembre, gettando di nuovo in completo stato di shock l’intero mondo del ciclismo. Si tratta dell’ennesimo colpo al cuore rifilato agli appassionati oltre che dell’ennesimo tracollo di credibilità per uno sport falcidiato dallo spettro del doping. In verità molti sembrano ancora i nodi da scogliere sulla vicenda del campione brittanico, ma si dovrà imparare a familiarizzare con l’ennesima sostanza incriminata con il pensiero che vola ad un’unica insistente domanda: vale ancora la pena fidarsi dei corridori?
IL CASO – A comunicare la positività al salbutamolo di Chris Froome è la Federazione ciclistica internazionale, annunciando che l’esito delle controanalisi ha confermato quanto riscontrato nel corso di un controllo effettuato il 7 settembre scorso al termine della diciottesima tappa della Vuelta 2017, dominata dal campione britannico. Il salbutamolo è una sostanza che il capitano della Sky assume in maniera regolare per via di problemi asmatici conclamati di cui soffre sin dall’infanzia, ma di cui è stata trovata una concentrazione doppia nelle urine rispetto al consentito. Il team Sky, a differenza di quanto avviene da prassi, si è stretto intorno al proprio corridore annunciando che verranno forniti ulteriori informazioni all’Uci per giustificare quanto avvenuto, consapevole della buona fede di Froome.
L’OMBRA DOPING – Il ciclimo è lo sport di fatica per eccellenza. Guardando i corridori soffrire nello scollinare un’impervia salita si attiva quel sentimento di empatia tra spettatore e protagonisti della corsa che crea un legame invisibile quanto indissolubile: l’ammirazione per l’eroismo sportivo. Ogni legame però, si sa, presuppone un patto di fiducia. L’ombra del doping ha minato nelle fondamenta la fiducia di migliaia di appassionati negli ultimi anni. Il caso Froome va ad aggiungersi alla menzogna perpetrata in maniera fredda e sistematica da Lance Armstrong. La sua confessione scandita da “yes” balbettanti durante l’iconica intervista condotta dalla giornalista Oprah Winfrey rimarrà una macchia indelebile nella storia di questo sport.
TOUR FLAGELLATO – Se il capitano del Team Sky venisse sospeso provvisoriamente dall’attività agonistica si tratterebbe dell’ennesimo caso di un vincitore del Tour de France macchiato dal doping nel corso della propria carriera. Dalla prima vittoria di Lance Armstrong avvenuta nel 1999, soltanto in quattro edizioni si riscontrerebbe un vincitore “pulito”, ovvero mai colpito dall’antidoping: Carlos Sastre nel 2008, Cadel Evans nel 2011, Bradley Wiggins nel 2012 e Vincenzo Nibali nel 2014.
SOSPETTI ED ACCUSE – In momenti come questo, nella mente degli amanti riecheggiano le parole dell’ex procuratore della Federciclismo Giovanni Grauso che ha definito il Giro d’Italia “umanamente impossibile da affrontare” e le accuse raccolte in una biografia del ciclista Danilo Di Luca, primo italiano squalificato a vita per doping, secondo cui “vincere il Giro senza doparsi è impossibile“. I sospetti sul presunto ricorso a sostanze proibite in occasioni di prestazioni di spessore sono rinfocolate anche dalla stampa internazionale in alcuni casi con asserzioni del tutto pretestuose come avvenuto con Fabio Aru da parte del quotidiano francese Le Monde nell’ultima edizione del Tour de France.
CI SI PUÃ’ ANCORA FIDARE? – Dopo lo scandalo Epo che ha segnato il ciclismo negli anni ’90, si stava cercando di ricreare con fatica una patina di pulizia intorno a questo sport. Negli ultimi tempi l’entusiasmo dei tifosi sia nelle strade che davanti alla tv era tornato ad accendersi. Ora la positività di Chris Froome (vincitore di quattro degli ultimi cinque Tour de France, ndr), uno dei campioni che maggiormente ha fatto infervorare gli appassionati con le sue celebri “frullate”, rischia di far ripiombare nell’incubo della disaffezione un intero movimento. Riuscirà il ciclismo a vincere la battaglia contro i suoi demoni?