[the_ad id=”10725″]
Non c’era nemmeno bisogno che Fabio Aru conquistasse la prima maglia gialla della sua carriera. Il corridore sardo dell’Astana, in Francia, è già sgradito da un po’. È bastata la vittoria alla Planche des Belles Filles per mettere in movimento il meccanismo della macchina del fango. A guidarlo è il quotidiano francese Le Monde, simbolo di un certo giornalismo aristocratico, che nelle scuole viene additato come modello. L’articolo pubblicato lo scorso 11 luglio, però, smentisce la sua fama.
“Les liaisons dangereuses di Fabio Aru” è il titolo di un pezzo che ambirebbe a ricostruire la carriera del Cavaliere dei 4 Mori. Ambirebbe, appunto, perché mette insieme, in un collage appiccicoso sporco di Vinavil, le tappe della formazione ciclistica di un corridore che, a 18 anni, è stato costretto a lasciare la Sardegna per la Lombardia, con l’unico scopo di lavorare duro e pedalare.
Clément Guillou, inviato speciale della testata al Tour de France 2017, riferisce la frequentazione di Fabio Aru con Oliviano Locatelli, quel manager del ciclismo che, nel 2003, fu arrestato con l’accusa di traffico di sostanze dopanti. Accusa dalla quale, successivamente, fu prosciolto. Ma a Le Monde basta che Fabio Aru abbia fatto parte della sua squadra, quando militava ancora tra i dilettanti, per sferrare al corridore dell’Astana un primo dardo.
Il secondo riguarda Beppe Martinelli, attuale direttore sportivo della squadra kazaka. Ecco, forse questa è una delle accuse più infamanti. Martinelli viene additato come il mentore di ciclisti del calibro di Marco Pantani, Stefano Garzelli e Gilberto Simoni, tutti – secondo il giornalista – accostati al doping. Inutile semplificare così la vicenda del Pirata. Così come scorretto è definire Garzelli e Simoni corridori sleali. Il primo, infatti, fu sì squalificato per undici mesi in seguito a un controllo antidoping, ma fu anche riconosciuta l’involontarietà dell’assunzione delle sostanze. Simoni, invece, fu assolto perché la sua positività venne determinata soltanto dall’ingestione di alcune caramelle. Entrambi, in ogni caso, tornarono in sella dopo quelle controverse vicende. E poi, qual è quella proprietà transitiva che consente di definire Aru sospetto solo perché ha come direttore sportivo (l’onestà intellettuale di Martinelli, per altro, è specchiata) il mentore di Pantani, Garzelli e Simoni?
Ma c’è anche una terza freccia scoccata dall’arco de Le Monde e riguarda Paolo Tiralongo, compagno di squadra di Aru ed ex compagno di squadra di Vincenzo Nibali. L’articolo cita alcune intercettazioni telefoniche che lo vorrebbero in contatto con il famigerato medico Eufemiano Fuentes. Ma da quella vicenda Tiralongo si chiamò fuori subito, querelando anche gli autori dell’articolo in cui venivano riportate le intercettazioni.
E anche se quanto scritto da Le Monde fosse vero, la colpa di Fabio Aru sarebbe stata semplicemente quella di aver conosciuto queste persone, di averle frequentate, di aver corso insieme a loro? Un’inchiesta si basa su prove solide e non su semplici illazioni. Specialmente se si conclude in questo modo:
“Che cosa ha appreso Fabio Aru da queste figure controverse del ciclismo italiano? Dalla risposta a questa domanda dipende la credibilità di questo Tour de France 2017”
Fabio Aru, oggi, con la conquista della maglia gialla ha mostrato la maturità necessaria per buttarsi alle spalle immediatamente queste accuse destabilizzanti. Il Tour è a metà strada. La carriera del sardo è vicina al trampolino definitivo. Due righe sbagliate non potranno fermarla.