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Tennis, Paolo Lorenzi: “Il mio segreto? Non ho mai smesso di crederci”

Paolo Lorenzi - Foto Ray Giubilo

Il mio segreto? Nonostante sette anni vissuti tra futures e challenger, senza riuscire a entrare nei primi 150 del mondo, non ho mai smesso di crederci”. Parole e musica di Paolo Lorenzi, attuale numero 40 del ranking Atp e numero 1 d’Italia, rilasciate in esclusiva a Sportface.it. “L’incontro con Claudio Galoppini, avvenuto quasi per caso, mi ha ridato linfa vitale e, da quel momento, non ho più smesso di crescere e migliorare sotto tutti i punti di vista”. Il senese, che il 15 dicembre compirà 35 anni, ha vissuto nel 2016 la migliore annata della carriera, culminata nel trionfo all’Atp di Kitzbuhel. Due giorni dopo il compleanno, il 17 dicembre, sarà la volta del matrimonio con l’amata Elisa, con cui Paolo è fidanzato ormai da sei anni. “Ma per il viaggio di nozze bisognerà aspettare, perché a inizio gennaio sarò in campo a Doha nel primo torneo dell’anno nuovo”. Una storia normale, quella di Lorenzi, che all’improvviso si è trasformata in un romanzo sportivo di successo. L’unica maniera per scoprirne la genesi e i segreti è andare indietro nel tempo sino al 1986…

Quando inizia l’avventura col tennis di Paolo Lorenzi?
“Ho cominciato a giocare intorno ai 5-6 anni. Mio fratello Bruno praticava tennis e nuoto, mentre i miei genitori, Marco e Marina, erano soci al Ct Siena. È stato inevitabile ritrovarsi in campo con racchetta e palline. Il mio idolo era Boris Becker, vincitore a Wimbledon nel 1985 e 1986: da una parte perché mi piaceva il suo tennis, dall’altra perché mio fratello adorava Stefan Edberg e dovevo, per forza di cose, entrare in competizione con lui…”.

Si parla tanto del ruolo dei genitori nella crescita tennistica di un futuro professionista. Che ruolo hanno avuto i ‘tuoi’?
“Un ruolo molto importante, ma mai invadente. Mia madre, sin da piccolo, mi ha accompagnato quasi sempre ai tornei. Ricordo nitidamente che conquistai i primi punti Atp in un evento satellite disputato in Bulgaria nel maggio del 1999 e mia madre passò con me tutti e 27 i giorni nella zona di Sofia”.

Da quel 1999 al 2008 ti sei barcamenato tra satellite, futures e, principalmente, eventi challenger, senza però mai riuscire a superare la soglia del numero 160 Atp. Cosa ti faceva pensare di poter riuscire, finalmente, a fare il salto di qualità giunto poi nel 2009?
“Non ho mai smesso di crederci, consciamente e inconsciamente. Non mi sono mai abbattuto per una sconfitta, anzi. Ai campionati italiani under 14 presi una scoppola da Diego De Vecchis, che mi sconfisse 6-0 6-0. Al termine di quell’incontro mi misi a riflettere su come avrei potuto metterlo in difficoltà la volta successiva. Non ho mai smesso di pensare a cosa poter cambiare, o su cosa lavorare, per diventare forte”.

Un salto di qualità giunto nel 2009 grazie all’incontro con coach Claudio Galoppini e il preparatore atletico Stefano Giovannini…
“E pensare che il nostro connubio professionale è nato per caso. Il mio amico Riccardo Ferretti, che ha un negozio di tennis a Livorno, era solito organizzare esibizioni. Era il 2008 e oltre a me c’erano Francesco Piccari e, se ricordo bene, anche Luca Vanni. Mi chiesero se avessi voglia di provare a rimanere lì per allenarmi con Galoppini e il caso volle che, non avendo alcun coach in quel momento, decisi di restare. Da quell’incontro con Claudio e Stefano è cominciata la scalata”.

Quali sono stati i segreti tecnico-tattici del lavoro svolto con Galoppini e Giovannini?
“Il nostro lavoro è iniziato con la preparazione invernale del 2008, durata circa 3 mesi. Claudio volle intervenire pesantemente sul servizio, che all’epoca eseguivo ancora con un movimento spezzato. Dopo un giorno di allenamento, inoltre, mi convinse a passare dalla racchetta lunga a quella corta. Dal punto di vista atletico Giovannini mi ha allenato sulla velocità e sulla resistenza. Arrivavo dal periodo peggiore della mia carriera, durante il quale stavo vincendo pochissime partite. Mi sono affidato a loro e le cose sono andate molto bene. Anche se all’inizio i risultati non furono straordinari. Anzi, sembrava quasi una maledizione: nel primo torneo del 2009 fui sconfitto da Faurel, che dopo poco si ritirò dal tennis; a Melbourne fu Renqvist a battermi per poi chiudere, di lì a pochi giorni, la propria carriera… Per iniziare a vincere qualche partita andai a giocare due futures in Costa D’Avorio. Da quel momento si può dire che tutto abbia avuto inizio”.

Il 2016 è stato l’anno migliore della tua carriera, chiuso al numero 40 con un best ranking alla piazza n.35. Una stagione partita molto bene grazie all’affermazione nel fortissimo challenger di Canberra…
“Canberra è stata la molla per un grande anno. A Doha avevo perso in tre set contro Andujar e i medici mi avevano sconsigliato di giocare il challenger australiano per un problema al polpaccio. Sono invece partito per Canberra con mio fratello Bruno e ho giocato a un livello altissimo contro tennisti molto buoni come Donskoy, Granollers e Dodig, tutti in quel momento nei Top-100. In pochi si aspettavano questo mio exploit, per di più sul cemento, ma sono riuscito a sorprendere tutti. Ho giocato in seguito bene anche a Melbourne, dove sono stato sconfitto da Dimitrov, e nella prima parte della stagione sudamericana, che mi ha visto arrivare in semifinale a Quito e nei quarti a Buenos Aires, sconfitto da Nadal. Poi sono calato fisicamente”.

Ad inizio anno hai raggiunto anche la finale nel challenger di Bucaramanga, sconfitto nettamente da quel Gerald Melzer che avresti poi sconfitto a Kitzbuhel…
“Cerco sempre di imparare dalle sconfitte. Quest’anno mi sono preso delle belle rivincite, come quella con Simon a New York, contro cui anni fa avevo perso un incontro con match point a favore a Miami, e, sempre agli Us Open con Berlocq, che a Parigi pochi mesi prima mi aveva massacrato. La sfida con Melzer a Kitz è indimenticabile: lo stadio, strapieno, faceva il tifo ovviamente per Gerald, ma meglio un centrale pieno che tifa per il tuo avversario rispetto a stadi vuoti o semivuoti come avviene in Cina. In Austria ero andato insieme al maestro e mio migliore amico Pietro Griccioli, con cui mi sono scaldato prima della finale. Per la sfida con Basilashvili sono giunti anche Claudio Galoppini e molti amici da Livorno. È stata una bellissima emozione e per fortuna che la finale è durata poco, perché dopo le battaglie con Struff e Melzer non avevo più molte energie”.

Coach Galoppini non riesce a essere sempre presente nei tornei. Come ti organizzi?
“Che Claudio ci sia o meno, prima di ogni match analizzo con lui la sfida dal punto di vista dell’approccio tattico. Nei primi anni mi diceva cosa fare, adesso c’è maggiore confronto. A volte mi ha seguito mio fratello, a volte il mio grande amico Enrico Becuzzi, raramente mi trovo da solo”.

Tornando ai match che hanno sancito il tuo 2016, non possiamo non parlare di Davis: dalla gioia della vittoria in casa contro Chiudinelli 7-5 al quinto set alla sconfitta in doppio, insieme a Fognini, contro l’Argentina…
“Contro Chiudinelli ero riuscito a vincere il primo set giocando male e il secondo in controllo. Mai avrei pensato, ad essere sincero, che lo svizzero sarebbe riuscito ad alzare così tanto il livello. C’è mancato veramente poco… La differenza tra una vittoria epica e una sconfitta che avrebbe portato tutti i media a massacrarmi è molto sottile. Per fortuna è andata bene. Per quanto riguarda il doppio contro l’Argentina c’è da dire che avrebbe dovuto giocare Seppi, ma poco prima del match Andreas ha avuto un problema alla mano e sono dovuto scendere in campo. Ho fatto fatica a entrare nel match, giocando onestamente male. Pian piano mi sono ripreso, ma quando finalmente avevo alzato il livello Fabio, che aveva tenuto in piedi quel doppio sino a quel momento, è comprensibilmente calato dopo tantissime ore in campo. Il ritorno di Simone Bolelli potrà garantirci il prossimo anno un doppio di sicuro valore insieme a Fognini. Speriamo di poterci prendere la rivincita con l’Argentina”.

Durante la stagione hai affrontato anche Lucas Pouille, una delle grandi rivelazioni dell’annata Atp. A Bucarest, nei quarti di finale, sei andato molto vicino a batterlo. Ti aspettavi un salto di qualità come repentino del francese?
“Avevo superato Schwartzman, che di lì a poco avrebbe vinto Istanbul, e Daniel. Ero avanti un set e un break contro Pouille ma alla fine lui ha rimontato. Non mi sembrava di aver giocato particolarmente bene, ma Claudio mi ha detto che avevo espresso in Romania il miglior tennis dell’intero anno. Anche Planque, coach del francese, mi aveva fatto i complimenti. Ritenevo che Lucas fosse in crescita, ma onestamente non mi aspettavo a breve i risultati straordinari che ha raggiunto”.

L’ultimo torneo da analizzare per questo fantastico 2016 è lo Us Open, durante il quale hai battuto Berlocq e Simon e giocato alla pari per 4 set con il neo numero 1 del mondo Andy Murray…
“Sono entrato in campo contro Murray con grandissima convinzione e ho disputato un ottimo incontro. Alla fine del quarto set ero un po’ stanco, probabilmente la chiave per allungare il match sarebbe stata vincere il primo parziale. Ala fine dell’incontro Delgado, coach di Murray, si è complimentato lungamente con me. Io e Jamie ci conosciamo da anni…”.

Nelle ultime stagioni, dopo tanti match epici al Foro Italico, è mancato l’acuto agli Internazionali BNL d’Italia. È un obiettivo per il 2017?
“Negli ultimi 2-3 anni non sono riuscito a esprimermi al meglio in quel di Roma e ovviamente ne sono dispiaciuto, perché su quei campi è giunto il primo exploit della mia carriera. Ho saltato Madrid per prepararmi al Foro Italico, ma i risultati non sono stati quelli sperati. Forse è ora che giochi in Spagna, chissà che non sia la volta buona di un nuovo exploit capitolino”.

Nel 2016 hai avuto modo di affrontare Napolitano, Donati, Gaio, Giannessi e altri italiani in crescita. Quale pensi possa essere il loro futuro?
“Gaio e Giannessi li conosco benissimo perché ci alleniamo costantemente insieme nel centro tecnico federale di Tirrenia. Sono sicuro che Federico e Alessandro, così come Donati e Napolitano, arriveranno nei Top-100, bisognerà solamente capire quando. Se non accadesse ne rimarrei molto sorpreso”.

Filippo Volandri ha iniziato una collaborazione con il settore tecnico della FIT, in particolare per quanto riguarda il settore Over 18. Una volta terminata la tua carriera ti piacerebbe un ruolo di questo tipo o ti dedicherai maggiormente alla tua futura moglie Elisa senza viaggiare troppo?
“No, ormai Elisa è abituata così! Se dovessi passare troppo tempo a casa finirebbe per ammazzarmi… Mi costringerà a viaggiare! Il tennis è la mia vita e il mio desiderio, al termine della carriera, sarà quello di rimanere in questo mondo. Un lavoro con i ragazzi del progetto over 18? Mi piacerebbe dare una mano, mettendo la mia esperienza al servizio dei nostri tennisti e il supporto ai più giovani è un’idea che mi affascina. Per chi smette di giocare è paradossalmente più facile allenare un professionista che iniziare la trafila con i più piccoli”.

Il 17 dicembre, giorno del matrimonio con Elisa, si avvicina. Nel farti le congratulazioni…Ma il viaggio di nozze?
“Il viaggio di nozze è rimandato, perché due settimane dopo le nozze scenderò in campo a Doha per il primo torneo della stagione. L’idea è quella di disputare Doha, Sydney, gli Australian Open e, nel complesso, rimanere all’estero sino a Houston. Il viaggio di nozze penso proprio che sarà ai Caraibi dopo il Masters 1000 di Miami”.

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