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Tre febbraio 2008: la ventisettenne Francesca Schiavone, non ancora regina del Roland Garros ma già più volte vicina alla top-10 e numero 23 in quel momento, alza bandiera bianca contro Anabel Medina Garrigues sul cemento indoor del PalaVesuvio di Napoli. La Spagna vince con un netto e inaspettato 3-0 quel primo turno del World Group di Fed Cup. Inaspettato, sì, perché pensare alla vigilia che l’onesta Medina, allora 30ª nel ranking Wta, e Nuria Llagostera Vives, numero 134 e mai oltre il 35° posto in carriera, potessero mettere in difficoltà la milanese e Flavia Pennetta, già vicina all’ingresso nella top-20, sembrava irreale. Tanto irreale da spingere la Federazione a scegliere per una volta non la superficie migliore per le nostre ragazze, l’amata terra battuta, ma la peggiore per le avversarie, almeno sulla carta.
Una sconfitta dolorosa, rimediata due mesi più tardi con il successo salvezza sull’Ucraina, ma assolutamente casuale. Perché nessuno poteva immaginare i futuri exploit di Schiavone, Pennetta, Errani e poi Vinci, ma quell’Italia, in cui faceva il suo esordio anche la ventenne Sara Errani, era una squadra giovane e forte, con quattro atlete (almeno) da top-50 mondiale.
Il pesante ko subito in questo weekend sulla terra battuta di Lleida, invece, non è affatto casuale. Perché la Spagna oggi è più forte dell’Italia, che neppure un anno fa ha festeggiato il momento più bello della sua storia tennistica, un derby in una finale di un torneo dello Slam. La Spagna oggi ha Garbine Muguruza, 22 anni compiuti lo scorso ottobre, numero 4 mondiale in continua ascesa. E ha Carla Suarez Navarro, la Schiavone iberica, grande talento, un rovescio fantastico, poca continuità ma “solo” 27 anni.
Dopo la rottura con Camila Giorgi, unica azzurra nata dopo il 1987 (quindi under 29) nelle prime 271 posizioni del ranking mondiale, Corrado Barazzutti ha dovuto chiedere un sacrificio alla trentatreenne Roberta Vinci, che aveva programmato in modo legittimo la sua ultima stagione da professionista senza tener conto degli impegni in Fed Cup. E poi, visto l’infortunio della Errani, il capitano azzurro è stato costretto a “ripescare” la leggenda Francesca Schiavone, che non giocava in Fed Cup da quattro lunghi anni.
Dati e numeri, come sempre, si commentano da soli: stavolta all’Italia non serviva un’impresa, ma un miracolo per non perdere il World Group dopo 18 anni. Impossibile pretenderlo, ma un’umiliazione del genere (12 game raccolti in tre partite e sei set) fa male, anche se sarebbe giusto dimenticare in fretta, viste le soddisfazioni regalate dalle ragazze negli ultimi due lustri.
Dimenticare e guardare avanti, come ha voluto sottolineare Barazzutti: “Abbiamo perso contro Francia e Spagna, due squadre tra le migliori al mondo. Queste ragazze hanno dato tantissimo al tennis italiano, hanno scritto la storia, può succedere di perdere perché ci sono anche giocatrici giovani, emergenti, che crescono. Ora guardiamo avanti“. Ed è giusto farlo. Con realismo, come ha fatto Barazzutti sottolineando che “ci sono giocatrici giovani ed emergenti”, ma per il momento solo negli altri paesi.
“Pretendere di poter programmare il ricambio immediato di una generazione di giocatrici così forti sarebbe una presunzione folle“, ha spiegato il presidente della Federtennis Angelo Binaghi. Pretendere altre quattro top ten, in effetti, sarebbe troppo. Ma oggi, o meglio domani sperando che Roberta Vinci possa prolungare il più a lungo possibile la sua fantastica carriera, il problema dell’Italia non è avere una top-10. Il problema è avere due, tre, magari quattro nuove giocatrici tra le prime 50 tenniste al mondo.
L’orizzonte a breve termine non è proprio incoraggiante, anche se le ventenni Alice Matteucci e Cristiana Ferrando (entrambe classe 1995) giocano bene, così come le giovanissime Liudmila Samsonova (classe 1998) e Tatiana Pieri (1999). Ragazze promettenti che avranno bisogno però di due o tre anni, nella migliore delle ipotesi, per scalare la classifica e meritare un posto nei tornei più importanti. Nel frattempo, bisogna chiedere gli straordinari a Sara Errani e Karin Knapp. E soprattutto recuperare Camila Giorgi. Perché in fondo, al di là delle ragioni e dei torti nella recente rottura con la Federtennis, la marchigiana è l’unica certezza dell’Italia al femminile per il futuro a medio termine.