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Barbara Fusar Poli si racconta, in esclusiva per i lettori e le lettrici di Sportface.it. Nella prima parte dell’intervista ci ha parlato della sua crescita e della “trasformazione” in allenatrice, dell’evoluzione del pattinaggio di figura e delle coppie della sua scuola. Adesso conosciamola un po’ meglio “off ice” prima di riportarla in pista e farla tornare anche indietro nel tempo…
Com’è Barbara fuori dal ghiaccio? Pregi e difetti…
“Barbara è una moglie e una mamma alla quale il pattinaggio porta via tantissime ore al giorno. Inoltre, quando torno a casa la sera, c’è sempre una musica da valutare o un allievo che chiama. Ma questa è la vita che io e mio marito (Diego Cattani, general manager dell’Agorà, ex azzurro di short track e oggi tecnico della nazionale di velocità, ndr) ci siamo scelti e ne siamo contenti, anche se a volte diventa stancante. Un pregio? La determinazione: se voglio una cosa trovo il modo di ottenerla. Un difetto? Se qualcosa non mi quadra non le do il tempo necessario per essere sviluppata, non ho pazienza. E’ per questo che con mio marito ci completiamo: lui è la parte razionale della famiglia, io parto come un razzo. E’ l’unico che sa frenarmi e tenermi testa”.
L’Agorà è la tua seconda casa…
“Ho messo piede qui nel settembre dell’89, quando le porte si sono aperte per la prima volta. Le persone che lavorano in questa pista mi hanno vissuta e conosciuta come atleta, hanno apprezzato la mia passione e la mia tenacia, e mi hanno dato la possibilità di trasformarmi in allenatrice. Ho cominciato da Marco Fabbri quando gareggiava ancora nella junior, l’ho lasciato per dare alla luce i miei due figli e l’ho ripreso dopo, con Charlene; per qualche anno mi sono dedicata esclusivamente a loro e li ho portati velocemente a fare risultato. A quel punto la scuola è davvero decollata, ma il passaggio non è stato semplice. In fondo, ero assistente della mia allenatrice e potevo anche evitare di prendermi certe responsabilità, ma non sarebbe stato da me. Volevo andare per la mia strada, creando qualcosa di mio, e ho avuto la forza e il coraggio di rischiare”.
E adesso la tua scuola richiama atleti da ogni parte d’Europa. In cosa ti piace che i tuoi pattinatori si distinguano? Qual è il marchio Fusar Poli?
“Il creare, per ogni coppia, programmi completamente diversi. Per ogni stagione c’è la coppia che ha il tango, quella che ha Tchaikovsky e quella che ha il pezzo rock. E’ molto stimolante, ma mi costringe a salti pazzeschi. Devo essere sempre pronta a passare da un valzer a un latino americano. E’ per questo che Marco e Charlene hanno fatto di tutto: dal Padrino a Giulietta e Romeo, dal Lord of the dance a Schindler’s list e Vivaldi, e ora siamo arrivati a Grease. Se avessi visto in loro una predisposizione alla classicità, e avessi lavorato solo su quello, di sicuro sarebbero diventati bravissimi ma non avrebbero imparato così tante cose. Molti anni fa difficilmente avrei pensato di vederli su Tchaikovsky, quest’anno invece Lo Schiaccianoci è arrivato”.
Quali sono le difficoltà dell’essere allenatrice in un Paese che non riconosce al pattinaggio di figura l’attenzione mediatica che meriterebbe?
“In Italia non siamo tanti i giovani che insegnano, sono andati tutti via. Gli stessi Maurizio Margaglio e Massimo Scali sono all’estero e, sebbene abbia validissimi collaboratori, trovare un supporto tecnico del mio livello, anche solo per un confronto, non è semplice. Per fortuna c’è Corrado (Giordani, ndr) che ha una grande esperienza e un modo di lavorare che con me funziona benissimo. Ci capiamo con uno sguardo, siamo quasi sempre in sintonia su quello che ci piace e se non siamo d’accordo sulla stessa cosa non si sceglie. Lui però è un coreografo, non un tecnico”.
Il pattinaggio è anche arte e bellezza. Quando pattinavi, i tuoi costumi, il trucco e le acconciature erano sempre molto accurati. Oggi quanta attenzione dedichi a questi aspetti con i tuoi ragazzi?
“Moltissima, perché fa parte del pacchetto che presenti. Metter su un programma è come realizzare un quadro: lo devi proporre in un certo modo, con la luce e le ambientazioni giuste, deve avere una certa presentazione mediatica e dev’essere posto in una certa sala, dove solo determinate persone lo vedranno. Quest’anno, ad esempio, sul costume di Charlene del libero c’è lo spartito dello Schiaccianoci. Non è una cosa che si nota immediatamente, e magari molti si aspettavano il costume classico, ma noi abbiamo voluto far passare un messaggio nuovo e originale, quasi astratto, secondo cui lei è la rappresentazione stessa della musica. E’ stata un’idea alternativa e rischiosa, ma finora vincente”.
A proposito di Marco e Charlene, facciamo un passo indietro agli europei di Ostrava. La caduta ha fatto sfumare la possibilità di chiudere tra i primi cinque, ma forse è servita anche a capire qualcosa…
“Hanno fatto un ottimo Europeo e se non ci fosse stata la caduta nel libero si sarebbero presi il posto che meritavano, ossia il quarto. Durante tutta la stagione hanno dimostrato di essere cresciuti al punto da meritare quella posizione, e dopo lo short meraviglioso che hanno eseguito secondo me potevano essere tranquillamente terzi, davanti ai russi. Poi c’è stata quella bruttissima caduta che mi ha spaventata da morire (ndr: si commuove al ricordo) e che ha scompaginato i piani. Per fortuna Marco è stato bravo a salvarla, ma io non li avevo mai visti cadere così e ho davvero temuto che lei si fosse fatta male. Per un momento il tempo si è fermato, con Corrado ci siamo chiesti se sarebbero andati avanti. Penalizzazione a parte, i giudici hanno notato il lavoro che questa coppia sta facendo e l’incredibile capacità di reagire che ha, anche dopo un grave errore. Sono pronti, sono forti”.
Grease e Lo Schiaccianoci: due programmi che possono dare ancora di più?
“Assolutamente sì, soprattutto nei GOE del libero. Nel corto, gli elementi sono uno dopo l’altro e devi essere sempre concentrato e attento. Nel libero hai un po’ più di respiro e puoi rilassarti un secondo prima di attaccare l’elemento successivo. Per questo, alla fine della stagione, di solito è il programma che migliora di più; lo si arriva ad eseguire con disinvoltura e padronanza, interpretandolo al meglio e coinvolgendo il pubblico”.
Un giudizio, invece, sul debutto europeo di Jasmine Tessari e Francesco Fioretti.
“Ottimo. Hanno fatto una settimana di allenamenti bellissimi, che per essere una coppia così giovane e nuova proprio non mi aspettavo. Me li immaginavo più tesi, invece hanno fatto una grande gara e hanno dato il meglio. Purtroppo non si sono qualificati, hanno un bel libero e mi sarebbe piaciuto che avessero avuto la possibilità di farlo vedere. Ma era un debutto e non posso che dirmi soddisfatta”.
Torniamo a te: a distanza di 11 anni, che ricordi hai di quella gara terribile a Torino 2006 iniziata da favoriti e conclusa con i famosi 30 secondi occhi negli occhi con Margaglio?
“Ormai è acqua passata. Ripensandoci ora non la vedo più così tragica, ma in quel periodo con Maurizio avevamo lavorato tanto e abbiamo fatto un errore molto grave che ci ha fatto cascare il mondo addosso. Eravamo arrabbiati, dispiaciuti e amareggiati. E’ stato veramente difficile tornare sul ghiaccio per chiudere quell’Olimpiade con il libero e non lo abbiamo fatto per noi, ma per il pubblico di casa. I Giochi per noi erano finiti con quella caduta nell’originale, la nostra stessa carriera era finita in quell’istante. Prima del libero non avevamo voglia né di vestirci nè pettinarci, ma ci aspettavano tutti e ritirarsi non sarebbe stato corretto. Nelle ore intercorse tra l’originale e il libero con Maurizio non abbiamo neanche parlato, non perché avessimo litigato ma perché davvero non c’erano più parole da dire. Nell’allenamento del mattino abbiamo sbagliato tutto, mi sono dimenticata anche i passi, non avevamo più la testa”.
Dove hai trovato la forza di entrare in quel libero?
“Sono arrivata a Torino che ero reduce dalla mia seconda gravidanza, sfociata in un travaglio durato 18 ore. Dopo quella sofferenza, nulla poteva più farmi paura. A quel punto, affrontare qualsiasi gara per me era diventato semplice. Con Maurizio ci eravamo rimessi insieme 8 mesi prima delle Olimpiadi e abbiamo dovuto recuperare un quadriennio di lavoro, con il vantaggio però di essere freschi quando tutti gli altri erano già stanchi. Mi sono divertita a preparare Torino 2006, non ero mai stata così tranquilla. La gente ci ha visti solidi e maturi, con Maurizio ce la siamo proprio goduta e puntare all’oro era la cosa più naturale. Dopo quella caduta tutto è cambiato, nient’altro aveva senso e la forza di tornare sul ghiaccio me l’ha data il sapere di avere una vita che procedeva serenamente fuori dal ghiaccio, con la famiglia che avevo creato. Sono stati 4 minuti soltanto, ma è stato il programma più lungo della mia vita. Sono arrivata in fondo che non ce la facevo più, ho dato tutto e poi ho detto basta, infatti non siamo andati neanche ai mondiali”.
E come definiresti oggi la lotta con i francesi Anissina/Peizerat?
“Divertente. Era una coppia veramente molto forte anche caratterialmente, e non ti facevano mai vedere se erano in difficoltà. A Salt Lake City sono arrivati con un supporto mediatico che noi non avevamo, pur essendo campioni del mondo. Abbiamo pagato lo scotto di aver aperto la strada della danza quando ancora l’universo che girava attorno al pattinaggio di figura italiano non era pronto ed organizzato a dovere. Abbiamo potuto contare solo sulle nostre forze, e non siamo riusciti a contrastare l’armata francese né quella russa”.