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Marco De Nicolo ha quasi quarant’anni e un figlio, adora leggere, giocare a scacchi e nuotare. È appassionato di tennis, a tal punto da recarsi a Londra per assistere al torneo di Wimbledon, il più prestigioso di tutti. Sembrerebbe il profilo di un uomo comune, che ama godersi i piccoli piaceri della vita e con una certa propensione per lo sport. Marco, in realtà, è figlio d’arte e tra qualche giorno farà registrare la sua quinta partecipazione ad un’Olimpiade: il tiro a segno ce l’ha nel DNA. Ma ciò che lo spinge a dare sempre il massimo in pedana non è tanto il dovere, quanto l’amore. Guai a definire il suo sport un impegno; il legnanese è mosso dalla grande passione che gli ha trasmesso suo padre Angelo, più volte campione italiano. Marco, in quest’intervista esclusiva a Sportface.it, ha messo a nudo i suoi obiettivi a breve termine, parlando di Rio e delle gare che affronterà, e ha provato ad abbozzare un disegno del suo avvenire: dopo l’Olimpiade si vede ancora atleta, ma sta anche pianificando un futuro da allenatore. Toglietegli tutto, ma non la sua carabina.
L’Olimpiade di Rio è alle porte, ma tu hai staccato il pass due anni fa. Ti senti pronto?
“Sì, mi sento pronto più di altre volte. Questa per me sarà la quinta partecipazione, so un po’ cosa mi aspetta e ho fatto tesoro delle esperienze precedenti. Io mi sento a posto con me stesso e con quello che ho fatto, poi in cosa si tradurrà non lo posso dire perché ancora non posso saperlo”.
Sei un veterano, come dicevi questa sarà la tua quinta partecipazione. Le emozioni sono sempre diverse?
“Le emozioni sono diverse perché cresci tu come persona e cambi. Sicuramente quello che ho adesso non è lo stesso di quello che avevo quando avevo vent’anni e facevo la prima Olimpiade. Però è comunque un traguardo e già esserci ancora, a questo livello, per me significa tanto. Entrarci dalla porta principale, prendendo la qualificazione gareggiando e rimanendo per tanto tempo ai vertici, anche se non nei primi posti ma comunque sempre ai piani alti, è motivo di grande soddisfazione. Sicuramente ogni volta che vai in pedana tutto quello che porti dentro e hai imparato lo riversi un po’ nel tuo tiro, nella tua performance. Quindi ci sarà tanta emozione, certamente, ma anche tanta consapevolezza e tanta gioia di potersi godere esperienze di questo tipo”.
A Rio farai tutte e tre le gare della carabina. Su quale punterai maggiormente?
“Sicuramente sulle ultime due, le 50 metri. La gara di aria compressa abbiamo deciso di farla anche se negli ultimi anni non ho gareggiato più a livello internazionale. Da tre anni a questa parte mi sono concentrato solo sulle discipline a fuoco, quindi resteranno il mio primo obiettivo. Ho la gara dell’aria compressa l’8 agosto e le altre il 12 e il 14, abbiamo deciso comunque di partecipare per rompere il ghiaccio, però lì ritengo di avere meno chance rispetto alle altre due. L’impegno sarà il medesimo, le gare si devono fare dal primo all’ultimo colpo poi i conti si fanno sempre alla fine, quindi vediamo come va”.
Com’è nato l’amore per questo sport? Da quanto lo pratichi?
“Io sono figlio d’arte, mio padre è stato in nazionale e abbiamo anche gareggiato insieme; ho conosciuto questo sport seguendo lui. Siamo anche stati sul podio dei campionati italiani insieme, quindi è lui che mi ha aperto il mondo del tiro. Quando ho iniziato a praticarlo è nata subito una grande passione della quale non sono più riuscito a privarmi”.
Quando hai capito che non era più solo una semplice passione e stava diventando un impegno?
“Ne ho preso coscienza molto, molto tardi. Quando mi sono arruolato nelle Fiamme Gialle il primo obiettivo era quello di assolvere i doveri del servizio militare. Quella per me era un’opportunità non da poco, poi la passione diventava sempre più grande, vedevo che in qualche modo riuscivo bene e quindi ho deciso di seguire quella strada, che sto percorrendo ancora oggi. Però non c’è stato nulla di programmato e per quanto mi riguarda il giorno che lo vedrò come un lavoro, forse, sarà la volta buona che smetterò”.
Prima hai parlato di tuo padre Angelo, che ti ha fatto conoscere questo sport ed è anche stato il tuo primo tecnico. Hai mai sentito la pressione?
“No, anzi, è stata una grossa fortuna, non l’ho mai vissuta come una gara. Lui, non so se volontariamente oppure naturalmente, mi ha sempre fatto soltanto divertire. Mi ha fatto praticare uno sport che divertiva anche lui, cercando di trasferirmi le sue conoscenze e anche il suo modo di intendere il tiro. Ha fatto un percorso non tanto di uno che andava a fare le gare, ma di uno che faceva una cosa che gli piaceva e cercava di farla il meglio possibile”.
So che ti piacciono gli scacchi, c’è una citazione che dice “Gli scacchi si giocano con la mente, non con le mani”. Anche nel tuo sport è più importante la concentrazione?
“L’aspetto mentale è fondamentale nel tiro, cosa significa essere concentrato è difficile da definire, ma devi essere sempre sul pezzo. È importante riuscire a prendersi delle pause durante la gara, devi essere capace di gestire un po’ tutti i momenti che ti si presentano, ma nel tiro questa componente è dominante. La parte tecnica conta, la parte fisica è altrettanto importante ma nella somma totale della prestazione rivestono un ruolo marginale rispetto all’aspetto mentale perché è proprio quello che ti permette di fare la differenza. Nel tiro, a differenza di altri sport, il 70 o l’80% di atleti che partecipa all’Olimpiade ha la capacità tecnica per vincere; non tutti hanno però le doti mentali e caratteriali per potersi esprimere e riuscire a centrare l’obiettivo finale”.
Come ti rilassi prima di una gara?
“Cerco di essere più normale possibile. Negli ultimi anni, soprattutto da quando sono diventato papà, già andare a fare una gara significa rilassarsi, a casa la vita è molto più complessa (ride, ndr). Quindi già il fatto di prendere un aereo e andare a fare una gara ti rilassa, ritorni padrone del tuo tempo e della tua intera giornata, cosa che a casa non è possibile. Al di là delle battute, cerco di gestire al meglio i momenti morti leggendo, qualche volta giocando a scacchi on-line, cercando di fare le cose più normali. L’abilità, soprattutto in gare come queste, è quella di sopravvivere fino al momento della gara, poi la gara in sé è la cosa più facile. È la cosa che più conosciamo, che facciamo da tanto tempo, nel mio caso da tanti anni; è il prima che va preparata con molta accuratezza. Altrimenti pensieri e abitudini possono davvero far naufragare tutto il lavoro di tanti anni”.
Qual è la vittoria che ricordi con più gioia?
“Ci sono diversi momenti che ricordo con gioia, guardando indietro. Probabilmente, però, un momento particolare è stato quello in cui sono salito sul podio dei campionati italiani con il mio papà. Io primo e lui secondo, c’erano dentro emozioni particolari, al di là del successo e della gara, al di là di una medaglia piuttosto che un’altra, quello è sicuramente il momento che ricordo con più piacere”.
Non è uno sport che prevede molto movimento, in cosa consiste il tuo allenamento?
“È vero, non prevede tanto movimento, ma ciò non significa che uno non utilizzi il proprio corpo. Gran parte del mio allenamento avviene in poligono e quindi lì alleni non solo la tecnica ma anche la resistenza, cioè la capacità di stare in posizione per tanto tempo. Così come un nuotatore che deve fare la gara dei 100 metri non farà sempre solo i 100 metri – qualche giorno nuoterà anche qualche km – lo stesso facciamo anche noi: anche se abbiamo una gara di 60 colpi, il nostro allenamento sarà molto più lungo. Va aggiunta poi una componente fisica, a me piace molto nuotare, mi trovo particolarmente bene. È uno sport che favorisce forza, resistenza, elasticità muscolare, che poi sono caratteristiche di cui si avvale un tiratore. Faccio esercizi di equilibrio e ginnastica posturale per allenare la muscolatura che mi permette di mantenere di più l’equilibrio e rimanere stabile più a lungo”.
A Rio avrai la possibilità di seguire anche altri sport, c’è qualche atleta per cui farai il tifo?
“Mi piace molto il tennis, a Londra ho avuto l’opportunità di andare a Wimbledon e non è una cosa che capita proprio a tutti. Lo stadio del tennis, a Rio, non sarà certamente come a Wimbledon e non so se riuscirò a ritagliarmi il tempo per andare a vedere qualche partita. Ci sono due o tre sport che m’interessano e seguo anche a casa, però penso che sarò preso principalmente dalle mie gare. Comunque guardo lo sport con molto piacere, quindi seguirò con attenzione quello che accadrà lì”.
Qual è il consiglio che ti senti di dare ai più giovani, quelli che hanno meno esperienza di te nel tiro a segno?
“Di essere mossi da una grande passione. Al di là di tutto, la passione è alla base dello sport e anche alla base della vita. Tante volte, in ambito lavorativo, non riesci a realizzarti nel campo che vorresti. Io sono stato molto fortunato, sono riuscito a tradurre l’amore giovanile per questo sport in un lavoro, e dico lavoro perché sono retribuito per farlo. Secondo me la passione è la chiave di tutto, bisogna affrontare vittorie e sconfitte, momenti brutti e momenti belli, ma quello che ti fa andare avanti è l’entusiasmo e l’amore per ciò che fai”.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Io mi vedo ancora atleta. Ci sono in progetto alcune cose, c’è la possibilità che un giorno farò l’allenatore, adesso però è tutto ancora sul piano progettuale. Bisogna vedere tante cose, tra cui la disponibilità delle Fiamme Gialle, di sicuro tornerò a casa da Rio convinto di continuare a fare quello che ho fatto fino ad adesso. Se ci saranno evoluzioni importanti sarò il primo disposto a cambiare la mia vita, ma se così non fosse e se dovesse continuare tutto così, io sono felicissimo comunque”.