Serie A

Conduttore televisivo Nonis e figlio aggrediti dopo Verona-Inter: “Minuti di terrore”

Tifosi Hellas Verona - Foto Antonio Fraioli

“Da due anni che non andavamo allo stadio. Io tifo Inter e seguo con molta simpatia l’Udinese. Appena usciti, abbiamo visto che c’era all’angolo un bar dove ci saranno state centinaia di persone, tutte ammassate e senza mascherina che discutevano della partita e bevevano. Ho immaginato che fosse un luogo di ritrovo degli ultras dell’Hellas e ho preferito dire a mio figlio Simone di fare un giro più largo. Eravamo a meno di 300 metri dall’auto, quando ho visto che un gruppetto di sei, sette persone, si è staccato dal pubblico del bar e ha cominciato a seguirci. A un certo punto hanno cominciato a urlare ‘Ehi, tu, ehi voi. Che ore sono?’. Ci siamo fermati e mio figlio ha risposto: ‘Le undici meno dieci’. Erano a un metro da noi. Un uomo fra i 45 e i 50 anni, con il cappellino dell’Hellas in testa mi ha chiesto ‘Che squadra tifate?’ mi ha detto l’energumeno. Ho detto che non tifavo per nessuna squadra, ma lui mi ha incalzato e allora ho detto che avevo simpatie per l’Udinese. Non ho fatto in tempo a pronunciare il nome della squadra friulana che mi sono trovato a terra. Questa è una parte del racconto di Fabrizio Nonis al Corriere Veneto, aggredito al termine di Hellas Verona-Inter, nei pressi dello stadio Bentegodi. Il giornalista e conduttore televisivo, attualmente al servizio di Gambero Rosso, è stato aggredito da un piccolo gruppo di ultras scaligeri.

Non solo Nonis senior, ma aggressione anche ai danni del giovane figlio Simone, come narrato dallo stesso Fabrizio: Quell’uomo mi aveva colpito con un pugno in pieno volto che mi ha fatto perdere l’equilibrio. ‘Che cosa fate?’, ha urlato mio figlio. E via una sberla anche a lui, finito a terra come me. Gli altri, tutti con t-shirt o polo o cappellini dell’Hellas si erano messi a cerchio per bloccare le vie di fuga. Noi, cadendo, eravamo in mezzo a due auto parcheggiate. E lì hanno cominciato uno dopo l’altro a darci calci. Ai fianchi, alle gambe, al volto. Abbiamo fatto qualche centinaio di metri, poi ci siamo fermati e ho chiamato il 118″. Timpano perforato per il giornalista, contusioni varie per il figlio. Ennesimo episodio negativo con protagonisti i componenti della tifoseria organizzata: la violenza nel calcio resta una piaga da far eliminare per sempre.

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