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“Una medaglia importante. L’ho sempre sognata, tutti i giorni della mia vita e da molto prima di arrivare in finale olimpica. Dopo Tokyo, dopo i trionfi di Gianmarco, Marcell, della capitana Antonella, di Massimo e della 4×100… non voglio aspettare un minuto di più. In fondo cos’è un record senza una medaglia?”. Queste le parole di Daisy Osakue (Fiamme Gialle), che a Tokyo ha eguagliato al centimetro il primato storico di 63,66 stabilito nel giugno del 1996 da Agnese Maffeis: “È stata l’emozione più grande che io abbia mai provato. Quando inizi a lanciare la prima cosa che impari sono i record italiani. Quello della Maffeis è del 1996, l’anno in cui sono nata, e poter dire di essere l’unica a poter lanciare come lei è un orgoglio. Dodici mesi su una giostra, anzi sulle montagne russe. L’amore che ho sempre avuto per l’atletica quest’anno è esploso, si è moltiplicato. I miei sogni di bambina si sono avverati nel giro di due settimane e quello che ho fatto mi resterà per sempre. Dal momento in cui sono arrivata a Tokorozawa i Giochi sono stati una festa costante per me e per i miei compagni, una sorta di effetto domino di finali e successi”.
Osakue ai microfoni di Atletica TV ha parlato anche dei suoi problemi alla schiena e del futuro: “La stagione è iniziata bene con 61,19, ma la settimana dopo mi sono fatta male: un’ernia. Era marzo, ero preoccupata per il ranking, per gli Assoluti e per una stagione che sembrava compromessa. Con Maria Marello siamo riuscite a reinventare gli allenamenti proteggendo la schiena e a Rovereto ho lanciato la mia seconda misura di sempre, 61,55: una liberazione. Il 2022? Mondiali di Eugene ed Europei di Monaco di Baviera su tutto, passando per i Giochi del Mediterraneo. Ma prima di tutto non vedo l’ora di gareggiare agli Assoluti invernali di lanci, che per diversi anni ho seguito dagli Stati Uniti. L’obiettivo è mantenere la mia esplosività, imparando a usare tutta la pedana. E poi dovrò essere paziente, ascoltare il mio corpo e adattarmi a come è cambiato: ho un’ernia e ci sono cose che non posso più fare, che dovrò fare diversamente”.
L’intervista è poi proseguita parlando del suo ritorno in Italia, a Torino, dopo il suo passaggio negli Stati Uniti: “Un’esperienza che consiglio a tutti, anche solo per un semestre. In America essere uno studente-atleta è una virtù, sei guardato con ammirazione e supportato. L’attività sportiva è apprezzata e organizzata splendidamente, e impari la competizione. Addirittura sono stata eletta ‘Homecoming Queen’, un titolo assegnato fra tutti gli studenti sulla base della popolarità e dei risultati: corona, fiori, fascia, sembrava una scena di un telefilm. Inoltre mia madre era molto felice di vedermi vestita elegante. Tutto quello che so l’ho imparato a Torino, zona San Salvario, fra il campo d’atletica e l’oratorio. I miei genitori (originari della Nigeria ndr) amano me, lo sport e questo paese. Mia madre è una fan sfegata della Nazionale di calcio, agli Europei ha perso la voce tifando contro l’Inghilterra. I miei fratelli si distinguono nello sport e non solo, ne sono orgogliosa. Mio fratello gioca nelle giovanili della Juventus. Sono diventata italiana da maggiorenne e da giovane ho perso molte opportunità, dalla maglia azzurra al ‘Pass 15’ per andare al cinema, ma vedo che le cose stanno lentamente cambiando. Io d’ispirazione? Ne sarei felice”.
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