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Si avvicinano sempre di più gli Internazionali BNL d’Italia 2016 e, inevitabilmente, la memoria degli appassionati torna indietro agli incontri che hanno fatto la storia del torneo romano. Tra le statue del campo Pietrangeli e l’aria frizzante della primavera romana si respirano le emozioni che hanno attraversato le 72 edizioni della manifestazione tennistica più importante del nostro paese, con i grandi miti del circuito internazionale capaci di dare vita a sfide memorabili.
Ecco, proprio l’aggettivo “memorabile” è il più appropriato per descrivere un incontro di tennis che, a distanza di dieci anni, ancora riecheggia non solo nella mente di chi segue quotidianamente questo sport, ma anche dei tanti che lo vivono con interesse solo in quella settimana di maggio, nella quale l’attenzione dei media sportivi e non si sposta forzatamente sui campi in terra rossa della capitale.
I duellanti sono coloro che hanno maggiormente catalizzato (non ce ne voglia il buon Djokovic, attuale dominatore del circuito) il panorama dei fanatici del mondo del tennis negli ultimi quindici anni: Rafael Nadal e Roger Federer. Li guardi, nei loro modi, nello stile di gioco, anche solo nel modo di accompagnare con un gemito la palla dopo il colpo, e già noti quella contrapposizione che ha esemplificato la loro rivalità. L’agonismo, la ferocia, lo spirito gladiatorio di Rafa, contro l’eleganza, il tocco, la classe sopraffina di Roger, che non disdegna qualche soluzione di forza bruta, certo, ma l’alterna a quei tagli meravigliosi o raffinate volée che fanno pensare di aver spostato l’orologio del tempo di qualche decade indietro.
Federer è già arrivato in finale a Roma nel 2003, con una vittoria che sembrava già in tasca sfuggita per colpa di Felix Mantilla, spagnolo generoso e concreto, che in quell’occasione ha approfittato di una versione troppo snob dello svizzero; Nadal è il campione in carica, dopo l’estenuante maratona dell’atto finale del 2005 vinta in cinque set ai danni di Guillermo Coria, nella finale più lunga della storia degli Internazionali: già, perché siamo nell’epoca dei Masters Series con la finale in tre set su cinque, che proprio dall’edizione 2007 verranno omologati ai canonici due su tre dei tornei diversi da quelli del Grande Slam. Ma per l’ultimo atto di Roma versione tre su cinque, gli dei del tennis hanno messo insieme tutti gli ingredienti per consegnare questa partita alla leggenda dello sport.
Il match aveva tutto ciò che si potesse desiderare: tennis di qualità sopraffina da parte di entrambi, rimonte da ambo i lati e, dulcis in fundo (nel vero senso del termine), un tie-break nel set decisivo per risolvere la contesa, quasi come una finale dei mondiali che termina ai calci di rigore, con la sensazione che sia il modo allo stesso tempo più crudele e giusto di decretare il vincitore.
Federer ha 24 anni ed è all’apice delle sue potenzialità: ha già conquistato sette titoli dello Slam, e gli manca solo quel Roland Garros conquistato ai suoi danni proprio da Nadal nell’edizione precedente, con lo spagnolo che arriva alla finale di Roma all’interno della striscia di 81 vittorie consecutive sul rosso, che verrà spezzata proprio dallo svizzero ad Amburgo 2007. Insomma, qualsiasi statistica andiamo a vedere in quel periodo, troviamo sempre loro a farla da padroni, Roger e Rafa: “It’s like watching Borg vs. McEnroe in 1980” diranno Mark Petchey e Leif Shiras, commentatori di Sky Sports, prima della finale, rendendo all’uditorio l’idea di una rivalità che è destinata a ripercorrere le più note della storia dello sport, che in quella giornata si è definitivamente manifestata agli occhi del grande pubblico.
Si parte, finalmente: il piano tattico della sfida è abbastanza chiaro e segue quanto visto fino a questo momento nei loro duelli. Rafa fa leva sul suo top spin arrotato ai limiti dell’umanamente possibile per costringere Roger a giocare palle scomode sul suo rovescio a una mano, per poi aprirsi il campo e chiudere martellando da fondo campo. Lo svizzero invece cerca di prendere in mano le redini dello scambio con il servizio e, quando è lecito, cercare di prendere la rete, rischiando però di esporsi ai micidiali passanti in recupero dello spagnolo. Il campione di Basilea mette a segno il primo break sul 2-1, ma viene prontamente riagganciato da Nadal con un meraviglioso rovescio lungolinea che porta la situazione sul 3-3. Nonostante due set point mancati da Federer sul servizio di Nadal, che sembrano quasi un presagio dell’andamento finale della partita, il genio svizzero gioca un tie-break da antologia, caratterizzato da fantastici dritti che passano a pochi centimetri dalla rete. È addirittura 7-0, con un meraviglioso punto al volo che chiude il parziale.
Ma il toro iberico ha già dimostrato di non avere paura di Federer: ha vinto quattro dei loro cinque incontri fino ad allora, tra cui due dei tre sul cemento. E allora eccolo lì, con determinazione, rispondere colpo su colpo agli attacchi dello svizzero, con entrambi i contendenti che tengono facilmente i loro servizi fino al 4-4. Sul 4-5 e servizio, Federer deve annullare un set point per Nadal: l’elvetico approccia la rete e gioca una prima volée difensiva su un passante al corpo di Rafa, che sembra avere la possibilità di colpire facilmente con il rovescio lungolinea. Qui Federer estrae la magia dal cilindro e gioca un colpo al volo di rovescio in allungo che va a cadere proprio sull’angolo opposto rispetto alla posizione di Nadal. Dirà David Nalbandian, ex tennista argentino finalista a Roma nell’edizione 2004, “ero convinto che Federer fosse umano, ma dopo aver visto quella volée, non ne sono più così sicuro”.
La bellezza e l’apparente semplicità del gesto si scontrano però con la mancanza di concretezza nei momenti chiave del match, che contraddistingue la giornata di Federer: anche il secondo set va al tie-break, nel quale Roger conduce per 4-2. Poi perde uno scambio prolungato, manda al di là della riga di fondo i due colpi successivi, tiene il 5-5, ma sbaglia un’altra palla per il set point Nadal. Non un buon momento per il peggior tennis della partita dello svizzero, che capitola al secondo set point con un altro colpo in rete. Qui viene fuori tutto l’agonismo dello spagnolo, che si carica con il suo “vamos” saltellante in tutto il percorso fino al cambio campo, mentre Federer si siede sconsolato sulla sua panchina, conscio della possibilità mancata di un vantaggio di due set a zero.
Tra il tic dei calzini da sistemare prima di ogni game di Nadal e un Federer che appare colpito dal rientro dell’avversario, comincia il terzo parziale. Lo svizzero accusa un’improvvisa mancanza di energie, non sembra più divertirsi e avere quella spensieratezza dell’artista di fronte alla tela pronta per essere dipinta davanti a una folla che attende l’ennesimo capolavoro; è come se la risalita dello spagnolo e la sua crescente intensità gli avessero fatto via via evaporare le certezze che sembravano così salde prima della conclusione del secondo set. Tutto questo si concretizza nel quinto game, dove perde il servizio decisivo del parziale. Come nel tie-break del set precedente, la differenza la fanno un altro dritto fuori di metri sul 30-30 e un’avventurosa discesa a rete, sulla quale lo spietato Nadal riesce a passarlo con un comodo rovescio incrociato. Lo spagnolo non trema e, con un decimo game ancora una volta solido, si porta avanti due set a uno.
Inizio di quarto set, sembra il principio della fine. Roger sbaglia una facile volée di dritto, manda in corridoio un altro dritto piuttosto comodo e subisce una buona accelerazione di rovescio del maiorchino. È una palla break che ha l’amaro retrogusto di un match point, ma sulla quale il campione di Basilea sfodera un meraviglioso dritto lungolinea in controtempo, il colpo che forse regala effettivamente questa partita alla leggenda, perché probabilmente, con un servizio perso in apertura di quarto set, sarebbero bastati pochi minuti per vedere la finale prendere la via delle Baleari entro il quarto parziale. Invece no, improvvisamente i ruoli si ribaltano rispetto al set precedente: non è proprio questa, in fondo, la magia di questo sport, che lascia sempre una chance anche a chi è in procinto di affondare e ha ormai perso di vista anche l’ultima scialuppa di salvataggio? Ecco, Roger si tira fuori dal fiume da solo, mentre la porta di Nadal che sembrava chiusa a doppia mandata lascia improvvisamente passare preoccupanti spifferi di cedimento, con un dritto in rete che consegna la palla break del 3-1 a Federer, il quale sfrutta subito l’occasione con una magistrale accelerazione di dritto lungolinea. Il set va via rapidamente, Roger tiene i turni di servizio in modalità Fed-Ex e brekka nuovamente il mancino di Manacor, per il 6-2 finale che manda la contesa al quinto set.
Ecco, il quinto set. Servirebbe un articolo a parte, forse più di uno, per parlare di uno dei set che più ha segnato la storia degli Internazionali d’Italia. Federer parte iniziando a spingere, prendendo la rete, cavalcando l’onda del momento positivo. Comanda il gioco e si porta nuovamente sopra 3-1, strappando il servizio a Nadal. Il genio è tornato, c’è la percezione che possa essere finalmente arrivato il momento delle nozze tra Roger e il Foro, due entità così belle e poetiche da sembrare naturalmente destinati l’una all’altra, ma forse proprio per questo motivo così osteggiati dal destino che, più dei bravi di manzoniana memoria, sembra dire che questo matrimonio non s’ha da fare. Eppure sembrava così vicino, con Federer che si porta sul 4-1 dopo aver superato indenne un game intenso, con due deuce e una chiamata dubbia che ha richiesto diverse verifiche al giudice di sedia. Alla fine del game lo svizzero si produce in un “come on” molto simile a quelli urlati da Lleyton Hewitt in faccia agli avversari, segno dell’importanza cruciale del game. Passano alcuni minuti e Federer è nuovamente al servizio, a un punto dal 5-2: qui Rafa aumenta l’aggressività e costringe lo svizzero all’errore dopo uno scambio prolungato. Il mancino di Manacor si è reso conto di dover spingere di più per poter fare male a un Federer così ispirato come quello dell’ultima ora e mezzo di gioco: è un modo di comandare il gioco diverso da quello di Roger, più immediato e piatto, è quasi un boa che avvolge l’avversario per farlo poi lentamente crollare esausto. Il back dell’elvetico che spegne a rete, per il controbreak Nadal, sembra essere un segnale di questo lento ma efficace soffocamento. In realtà Roger c’è, eccome se c’è, si porta avanti 6-5 e va a rispondere per chiudere la contesa evitando un tie-break che appare scontato. Qui arriva quello che non ti aspetti, il doppio fallo e un dritto lungo dello spagnolo, che regalano due match point consecutivi a Federer.
È come se tutto si fermasse in quell’istante, è il momento della partita, del torneo, forse della storia della loro rivalità: il titolo non è mai stato così vicino a prendere la via di Basilea, e purtroppo per lo svizzero non lo sarà più; arrivano infatti due inusuali errori di dritto, seguiti da un’ottima accelerazione di rovescio di Rafa. È l’ora del tie-break, dei calci di rigore, di gara 7 delle finali NBA. Insomma, è il momento di tirare fuori tutto ciò che si ha: all’inizio lo fa meglio Roger, che va avanti 3-1, 4-2, 5-3, è di nuovo lì a un passo dal trofeo, nonostante l’occasione mancata del game precedente. Ma è nel momento clou che riappaiono i fantasmi, quei fantasmi che fanno mettere in rete un dritto apparentemente comodo per lo svizzero e che gli costano una stecca dopo uno scambio prolungato. Siamo 5-5, ed è tutto da rifare, ma il destino non può concedere altre opportunità allo svizzero, no, ne ha avute troppe e, come vuole la legge non scritta di questo sport (ma in fondo anche della vita), quando perdi il treno una, due, tre, quattro volte, allora è giusto che vai a piedi e che lasci il posto a chi ci ha creduto anche quando la situazione sembrava ormai avviata verso la stretta di mano. Quello è Rafael Nadal, che si porta a match point grazie a una risposta sbagliata dello svizzero e si mette subito in condizione di comandare lo scambio nel punto decisivo, chiuso da un altro diritto lungo di Federer, per il 6-7(0) 7-6(5) 6-4 2-6 7-6(5) in cinque ore e cinque minuti di battaglia, che la consegnano alla storia come la più lunga sfida tra i due. “Lo ha fatto di nuovo, ha spezzato nuovamente il cuore di Federer” dirà il già citato Petchey.
L’incontro è la fotografia perfetta di ciò che ha recentemente dichiarato lo svizzero: “Rafa è esploso molto presto, i nostri momenti migliori spesso sono coincisi, alcune nostre partite sono diventate storiche, purtroppo da lui ho anche subito alcune delle sconfitte più dolorose della carriera. E poi è mancino, mi ha obbligato a trovare soluzioni differenti per contrastarlo. Diciamo che all’inizio Novak era l’uomo che incontravo in semifinale e Nadal l’uomo delle finali, adesso la situazione si è ribaltata anche grazie alla forza di Djokovic. Ma credo che la rivalità con Rafa abbia colpito di più gli appassionati”.
Cos’altro possiamo aggiungere di quell’epica sfida? Poco altro, se non elogiare entrambi i protagonisti, un Federer quasi capace di battere il Re della terra rossa in un match al meglio dei cinque set e un teenager chiamato Nadal che grazie al suo spirito indomito era riuscito a conquistare il suo sedicesimo titolo in carriera, a soli diciannove anni. Entrambi i giocatori si sarebbero poi cancellati da Amburgo a causa della fatica. Nadal e Federer si sarebbero incontrati da lì a breve nella finale dell’Open di Francia, e ancora una volta Federer avrebbe vinto il primo set. Ma Nadal avrebbe dominato i successivi tre set, vincendo il suo secondo titolo consecutivo al Roland Garros, e rafforzando la sua posizione dominante sulla terra battuta.
Questa partita di Roma avrebbe fatto la differenza per Federer se avesse vinto? Avrebbe vinto il Roland Garros 2006 vista la maggiore fiducia? Potrebbe aver cambiato la storia della loro rivalità e, conseguentemente, del tennis moderno? È una domanda interessante, ma porta con sé molti dubbi. In fondo, Nadal ha uno stile di gioco che si adatta perfettamente sia a quello di Federer sia al rosso in generale, e, considerando anche la sua enorme forza mentale, non credo che avrebbe avuto particolari difficoltà ad assorbire una eventuale sconfitta a Roma.
Non c’è motivo quindi di pensare che il French Open 2006 avrebbe avuto un risultato diverso, tutto sommato. Ma Roma sarebbe stato un titolo speciale per Federer. Ed è stato un titolo speciale per Nadal.