Amarcord

Internazionali BNL d’Italia, le imprese degli azzurri

Andrea Gaudenzi - Foto Ray Giubilo

La cornice del Foro Italico è stata il palcoscenico di diverse imprese da parte dei tennisti di casa, che, spinti dalla folla sempre partecipe e coinvolgente, hanno talvolta raggiunto risultati che alla vigilia sembravano assolutamente impronosticabili contro avversari ben più quotati. Sono stati tanti gli azzurri che si sono regalati una giornata, o anche un’intera settimana da sogno, portando a casa scalpi eccellenti e catalizzando l’attenzione del pubblico romano.

Rimanendo in una cornice temporale abbastanza vicina ai nostri giorni, quindi dal 1994 ad oggi, abbiamo provato a elencare le imprese più significative del tennis italiano avvenute sui campi del Foro.

Il tris di Gaudenzi: i due quarti di finale e il trionfo su Federer

Andrea Gaudenzi è stato sicuramente, negli anni ’90, il giocatore italiano che ha fatto vivere le maggiori emozioni alla platea del Foro Italico. La sua storia d’amore con il torneo romano ha come apice il doppio quarto di finale, nel 1994 e nel 1996, anche se dal sapore piuttosto diverso. Nell’edizione del ’94, infatti, arriva agli ottavi battendo due avversari rispettabili ma tutto sommato inferiori, quali l’haitiano Agènor e l’olandese Siemerink. Qui ci sarebbe l’incrocio con Thomas Muster, già campione a Roma nel 1990 e futuro vincitore delle edizioni 1995 e 1996. L’austriaco però si ritira dopo cinque giochi e apre la strada a Gaudenzi per un insperato quarto contro Pete Sampras. L’americano prevale con un break per set e spegne i sogni di gloria di Gaudenzi, che però due anni dopo ritrova i quarti di finale al termine di una cavalcata memorabile: al secondo turno supera la tredicesima testa di serie Micheal Stich, al rientro da un infortunio ma pur sempre Stich, in tre set lottati. In ottavi fa ancora meglio, eliminando la quarta testa di serie Thomas Enqvist dopo un tie-break nel quale aveva sciupato quattro set point consecutivi, ma che era riuscito comunque a portare a casa. La semifinale resta però un miraggio, perché nei quarti c’è quell’Albert Costa che avrebbe giocato una partita praticamente perfetta, lasciando solo tre giochi al faentino. C’è però un ultimo colpo di coda, per il quale bisogna aspettare fino al 2002: la sfida al primo turno con Roger Federer, allora numero 11 del mondo ma che già lasciava intravedere tutto il potenziale che lo avrebbe reso una delle leggende di questo sport. Ma quel 7 maggio è Gaudenzi a giocare una partita alla Federer, accorciando gli scambi e mettendo sempre pressione allo svizzero, che alla fine è costretto a capitolare con un doppio 6-4. Quella sfida resterà nelle statistiche, perché è l’unico precedente tra Federer e Gaudenzi, che così si iscrive all’esclusivo club dei pochi giocatori in grado di avere un record favorevole con l’elvetico. Ma il cammino di Andrea in quell’edizione degli Internazionali si fermerà subito dopo, con un James Blake in grado di sorprenderlo al terzo set in rimonta.

Il 2007 di Volandri: la semifinale dopo aver travolto Federer

Avendo citato Roger Federer, non possiamo non collegarci a quello che rimane il match che balza subito alla mente quando si pensa ad un italiano protagonista al Foro: la vittoria di Filippo Volandri agli ottavi di finale dell’edizione 2007, proprio ai danni del campione svizzero. Prima del torneo di Roma, Federer aveva vinto negli ultimi due anni 157 partite su 167 giocate, numeri obiettivamente non umani, ma la particolarità stava proprio in quelle 10 sconfitte che, per metà, furono causate da Rafael Nadal. Nessuno poteva aspettarsi quindi l’impresa da parte di quel Volandri che aveva già vinto il suo torneo battendo Gasquet nel turno precedente e l’unica reale speranza dei tifosi era quella di assistere a una sfida minimamente equilibrata, evitando un monologo del campione sul malcapitato padrone di casa.

La partita invece è sì sbilanciata, ma a favore di Volandri, che lascia solo sei giochi a un Federer sbiadito e mai padrone della situazione, con una folla che definire in visibilio è decisamente un eufemismo. A ventiquattro ore dall’epica vittoria, ecco che arriva anche quella sulla testa di serie numero 12 Tomas Berdych in quarti di finale, con il livornese che sembra non accusare minimamente lo stress psico-fisico di una vittoria sul numero uno al mondo, giocando lo stesso tennis celestiale del giorno prima. Il sogno si spegne in semifinale, contro un Fernando Gonzalez che ha messo in campo un’energia che semplicemente il nostro Filippo non aveva; resta comunque commovente la standing ovation riservata a Volandri alla fine del match, da un pubblico che aveva vissuto in quell’intensa settimana emozioni incredibili proprio grazie al suo tennis.

Borroni-Kafelnikov, per intenderci Davide contro Golia

Siamo nel 1995 ed il Foro Italico è teatro di un’altra storia che definire impresa è veramente riduttivo: se non ci credete, pensate semplicemente al caso in cui il numero 411 del ranking, tale Corrado Borroni, con quel look da emulo di Andre Agassi con coda e orecchino, riuscisse a superare al primo turno del tabellone principale (perché Borroni è dovuto passare ovviamente dalle qualificazioni vista la classifica) la testa di serie numero 6 Evgenij Kafelnikov, russo potente e freddo sia mentalmente sia nel comportamento in campo, tanto da meritarsi l’eloquente soprannome di Kalashnikov. Quel giorno però il Kalashnikov sembra essersi inceppato, la stanchezza è visibile nel tennis di un Kafelnikov che ha giocato tantissimi match dall’inizio della stagione e, dopo aver portato a casa il primo set, non mette in campo quella cattiveria abituale per chiudere la contesa nel secondo, con Borroni che la spunta nel rush finale per 7-5 e si guadagna un insperato terzo set. Qui l’impresa diventa sempre più possibile, Borroni non trema e chiude 6-3 nel parziale decisivo. Il milanese supererà anche un altro turno, ai danni dello spagnolo Roberto Carretero, prima di arrendersi alla leggenda Stefan Edberg. Ma la carriera di Borroni, che sembra solo ai promettenti inizi dopo l’impresa di Roma, terminerà a soli 24 anni, nel 1997, a causa di un problema alle anche: troppo presto per diventare un tennista italiano di vertice degli anni ’90, ma non per togliersi la soddisfazione di un pomeriggio memorabile al Foro Italico.

Infinito Seppi, due maratone per entrare tra i miti del Foro

Andreas Seppi si presenta all’edizione 2012 degli Internazionali d’Italia in ottima condizione, dopo la vittoria al torneo di Belgrado ai danni di Benoit Paire. Il tabellone del Masters 1000 romano però, appare ostico per l’altoatesino: dopo lo scomodo esordio con l’uzbeko Istomin, risolto al terzo set, c’è subito la testa di serie numero 9, l’americano John Isner, che sulla terra forse vale qualcosa in meno della reale classifica, ma con quel servizio non può non far paura. Lo statunitense tuttavia, dopo un primo set dominato, si fa trascinare al tie-break nel secondo parziale, dove l’azzurro è bravo a mettere a segno i punti importanti. Si va al set decisivo, nel quale la folla trascina Andreas al break decisivo nell’undicesimo gioco, che vale il match e l’approdo agli ottavi. Se pensate che sia questa l’impresa, siete sulla strada sbagliata. Perché d’accordo quell’americano non era niente male, ma al prossimo turno c’è Stan Wawrinka, il quale, sebbene in quell’edizione non sia nemmeno tra le teste di serie, di lì a tre anni sarà colui che interromperà l’egemonia dei Fab Four negli Slam, portandone a casa ben due tra il 2014 e il 2015. La cornice è quel meraviglioso campo Pietrangeli circondato dalle statue, che sembrano osservare i due eroi sfidarsi colpo su colpo, senza cedere, fino all’ultima energia rimasta. I tre set si concludono tutti al tie-break, perché l’equilibrio che si respira è così sottile da non poter essere spezzato prima del game decisivo. Come nella giornata precedente, Seppi deve rimontare un set di svantaggio, ma gioca senza paura, anche sul 5-3 Wawrinka al terzo set, con due match point consecutivi al servizio per lo svizzero annullati. Per non parlare del tie-break, dove i match point in successione per l’elvetico diventano addirittura tre, quasi come un ultimo ostacolo che l’eroe deve superare prima di poter celebrare un successo tanto sudato quanto indelebile nella memoria degli appassionati. Seppi esce vincitore da 3 ore e 22’ di battaglia, per ritrovare nel round successivo quel Federer che finora, nel nostro racconto, ha vestito i panni del campione sconfitto dagli idoli di casa. Stavolta no, Roger passeggia su un Seppi a cui oggettivamente non si poteva chiedere di più dopo le fatiche dei due meravigliosi turni precedenti.

Stairway to Heaven, o meglio, la Scala per il paradiso in versione Inglese

Nel nostro percorso che oscilla continuamente tra il vecchio e nuovo millennio, torniamo agli anni ’90 per un’altra impresa degna di nota, che in parte può accostarsi a quella di Borroni, perché vede un protagonista che non sarà mai uno dei principali esponenti del tennis italiano di quegli anni (arriverà al massimo al numero 117 ATP), ma che si è riuscito a regalare una serata da favola a Roma. Parliamo di Davide Scala, che si presenta all’edizione 1997 degli Internazionali d’Italia da qualificato e, dopo il tiratissimo derby di primo turno vinto ai danni di Daniele Musa al tie-break del terzo set, scende in campo al secondo turno contro la testa di serie numero 14, il britannico Tim Henman. “Timbledon” non è certamente un giocatore da terra battuta, vista l’attitudine da serve & volley, ma il divario in classifica tra i due superava le cento posizioni e, obiettivamente, nessuno avrebbe puntato un penny su una vittoria di Scala. Il nostro Davide però è in forma, al primo turno di qualificazioni aveva superato l’emergente Nicolas Kiefer, che di lì a qualche anno sarebbe arrivato al numero 4 del ranking, e il derby vinto al primo turno gli ha dato una fiducia enorme. Henman domina il primo parziale, ma piano piano Scala entra in partita, torna a colpire in modo fluido e mette in difficoltà l’inglese sulle discese a rete. Si va al terzo, dove è decisivo un break al nono game per l’azzurro, che raggiunge un insperato ottavo di finale. La favola però finisce qui, perché l’australiano Draper lo supererà in due set, in un match che costerà a Scala anche un infortunio a causa del quale salterà il Roland Garros. Ecco, anche la sfortuna come motivo ricorrente di una carriera che è stata caratterizzata da diverse prestazioni di livello e qualche successo di spessore (nello stesso anno battè in successione Gaudenzi, Camporese e Sanguinetti), ma in cui troppe volte Davide ha perso il filo del suo tennis, che avrebbe potuto regalargli ben più soddisfazioni di una “semplice” vittoria su Tim Henman a Roma.

Fabio (Massimo) Fognini imperatore per un giorno

Se lo dicessimo oggi, a distanza di soli dodici mesi, forse verremmo presi per millantatori: Fognini che batte Dimitrov, e dove sta l’impresa? L’impresa c’è eccome, perché un anno fa il bulgaro, che tanto aveva promesso ma così poco sta mantenendo, era la decima testa di serie del seeding, arrivava da due quarti di finale consecutivi in due Masters 1000 sulla terra e lasciava sempre più presagire a un futuro come minimo da top 10 stabile. Fognini invece stava vivendo una stagione sulle montagne russe, con tante discese (sei sconfitte al primo turno) e qualche risalita (finale a Rio de Janeiro, due successi contro sua maestà Rafa Nadal). Ma il palcoscenico è di quelli importanti, un campo Pietrangeli gremito da ben 5000 spettatori, oltre ai tanti che sbirciano dall’ultimo anello del Centrale, per un match che sembra tutto fuorchè un semplice secondo turno. Il primo set è una battaglia estenuante, con il tie-break come giusta conclusione: qui il ligure annulla tre set point e, grazie a una voleè accompagnata da un bacino del nastro, porta a casa il parziale. La reazione del bulgaro è veemente, il servizio si alza di livello e si arriva a un inevitabile terzo set. Qui comincia lo show di Fognini, con il ligure che gioca un tennis semplicemente di un altro pianeta: ogni game è accompagnato da punti spettacolari, voleè, palle corte, colpi vincenti apparentemente impossibili. È come se tutto il talento del taggiasco si manifestasse nel momento chiave dell’incontro, in una sfida che di talento in campo ne vedeva decisamente in abbondanza. Sarà addirittura 6-0 il finale, per regalarsi un posto in ottavi di finale. Lì lo attendeva Tomas Berdych, numero 5 del mondo, e per quanto l’epilogo sia diverso da quello con Dimitrov, la partita merita comunque di essere raccontata. Fognini è sotto di un set e 2-0 in apertura del secondo, sembra uno di quei match in cui basta lasciar passare una ventina di minuti e siamo già alla stretta di mano. Invece no, Fabio tira fuori l’orgoglio, strappa due volte il servizio all’avversario e porta la contesa al terzo set. Si arriva al tie-break, ancora una volta davanti a uno Stadio Pietrangeli che pregusta la grande impresa; sul 3-2 per il ceco però Fognini commette due errori gratuiti, sui quali, praticamente, si spegne la magia.  Avanza Berdych, ma le due partite di Fognini, forse ancora di più la seconda per il carattere dimostrato quando ormai era a un passo da una sconfitta pesante, restano nella memoria.

Un Pe-sco-so-li-do qualunque

Le sillabe vengono scandite così, una ad una, per rendere chiara l’idea di cosa sia accaduto in quel pomeriggio del 1994 a Roma. “Non ci sto a perdere contro un Pe-sco-so-li-do qualunque” sbotta Agassi a fine match. Eh già, Stefano Pescosolido batte Andre Agassi al secondo turno degli Internazionali d’Italia del 1994. Andre ha appena cominciato il suo rapporto con Brad Gilbert ed è nel pieno del periodo di “sconfitte epiche” da lui citate nella biografia “Open”, una delle quali avviene proprio a Roma. Pescosolido gioca un tennis fantastico, solido e spregiudicato allo stesso tempo, per il 6-3 1-6 6-3 finale. In ottavi il tennista ciociaro perderà la battaglia con l’olandese Eltingh, ma resta l’impresa di aver battuto una delle icone di questo sport nel torneo di casa. Lo scalpo di Andre Agassi è peraltro accompagnato da altri ugualmente illustri, nella ricca collezione di vittorie eccellenti di Pescosolido: da John McEnroe nel 1992 ad Amburgo a Thomas Muster nel 1993 a Tel Aviv, passando per Micheal Chang nel 1991 a Montrèal e Los Angeles. Insomma, tante vittorie di prestigio, per quello che rimane uno dei tennisti italiani più apprezzati e stimati degli ultimi 30 anni.

Il grande 2001 del compianto Federico Luzzi

Chiudiamo la nostra rassegna con il ricordo di un giocatore portato via troppo presto da una leucemia fulminante, ma che ha legato la sua storia tennistica in maniera indissolubile con il torneo di Roma. Parliamo ovviamente di Federico Luzzi, che si presenta all’edizione 2001 del Master Series di Roma con una Wild Card, che gli consente di disputare il primo turno del main draw opposto al francese Arnaud Clemènt, numero sette del mondo. Luzzi arriva a questo appuntamento sull’onda dell’entusiasmo, reduce dall’esordio in Coppa Davis contro la Finlandia ad Helsinki, nel quale ha vinto un match di inenarrabile intensità per 14-12 al quinto set, con quella convocazione arrivata quasi per caso (c’era lo sciopero dei big azzurri) che gli ha regalato una delle gioie più grandi della sua breve carriera. Il 2001 però gli riserva ancora una grande sorpresa nel palcoscenico del Foro Italico: la vittoria su Clemènt, per 6-3 al terzo set, con il pubblico che lo acclamava, lo applaudiva, gli chiedeva autografi, sembrava finalmente aver trovato un nuovo potenziale giocatore azzurro di vertice. Il giorno dopo c’è un altro ostacolo non meno duro, il marocchino Hicham Arazi, numero 19 del mondo. La classica prova del nove, un giocatore leggermente inferiore a Clemènt, ma da affrontare con la sensazione di appagamento per aver già vinto il proprio torneo. Luzzi non trema e supera in due set il marocchino, con i giornali che si scatenarono con titoli che andavano da “Luzzi cuor di leone” a “È Luzzi il sole azzurro”. Il giorno successivo però la sua marcia si ferma per mano del qualificato spagnolo Jacob Diaz, che gli lascia solo quattro giochi. Quella due giorni indimenticabile gli darà un’enorme dose di fiducia nell’anno in corso, dove vinse altre partite con avversari di livello quali Hrbaty, Calleri e Sanguinetti, terminando la stagione al numero 96 del ranking. Poi l’infortunio alla spalla, i saliscendi della seconda parte di carriera e infine il malore in quel match di serie A, con un tragico destino che lo attendeva troppo presto per poter aggiungere altre pagine a questa storia.

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