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Sembra passata un’eternità da quando, increduli spettatori, assistemmo a quel lancio della coppa verso l’obiettivo di una macchina fotografica. Il malcapitato che se la prese in faccia era il paparazzo Aldo Martinuzzi, il cecchino era il campionissimo Alberto Tomba. Il primo aveva osato sfidare il re delle porte strette beccandolo nudo in una sauna. Il secondo non aveva mai sopportato quell’atto di lesa maestà e servì fredda, ghiacciata come una pista da sci, quella sua dolorosa vendetta.
Perché non c’è genio senza sregolatezza e non c’è cinquantesimo compleanno che non si debba celebrare raccontando qualche marachella commessa dal festeggiato. Tra un brindisi e una tartina, la ricorderà anche lui, Tomba “la Bomba”, come c’era scritto sugli striscioni sventolati dai tifosi (e dalle tifose) di mezzo Circo Bianco. La ricorderà e ne riderà, poco prima di sollevare i calici.
È lui l’eroe dello sci azzurro. Anzi, dello “ssi”, come direbbe da buon emiliano di San Lazzaro di Savena. Il più meridionale degli italiani di questo sport, dominato da altoatesini dai cognomi impronunciabili. Riaccese la passione per la neve insieme a Deborah Compagnoni, tre volte campione olimpico (due a Calgary 1988 e una ad Albertville 1992), mister 50 vittorie in Coppa del Mondo. Una per ogni candelina sulla torta.
Nelle diapositive strappalacrime passeranno le immagini di quello slalom di Lech, in casa dei temibili avversari austriaci, nel 1994. Un secondo e mezzo di vantaggio dopo le prime porte, una piccola buca, una mezza caduta. Un numero da circo gli permette di restare dentro al tracciato; Paolo De Chiesa (che a momenti impreca) in telecronaca sembra quasi rassegnato a una gara che va portata a termine senza gloria. Invece Tomba scende giù a valanga e dopo la linea del traguardo è ancora in testa. Capitombolo e redenzione, incredulità per finire.
È la metafora della vita spericolata del fuoriclasse che fu tentato persino dal cinema. In questo campo andò per dribblare e rimase dribblato: non tutto riesce sempre, neanche alle leggende. Meglio ricordarlo per quelle imprese tra i pali stretti, lui grande e grosso, eppure leggerissimo come un pendolo che oscilla tra pendenza e contropendenza. Il breviario dei successi reciterà, alla fine di una irripetibile carriera conclusa nel 1998, 5 medaglie olimpiche, 4 medaglie mondiali (due d’oro e due di bronzo), una Coppa del Mondo generale nel 1995 e otto Coppe del Mondo di specialità (equamente divise tra slalom e gigante).
Tutte a scintillare in vetrina, nel giorno degli auguri dell’intero mondo dello sport e non solo. La vita va avanti per una faccia da copertina che farà ancora parlare di sé. Lo sci azzurro ha ancora bisogno di questo splendido cinquantenne, da indicare a dito alle nuove generazioni, a quei Duemila che non lo hanno mai visto scendere in pista dal vivo e non hanno mai avuto la fortuna di emozionarsi per una sua vittoria a braccia alzate.