Il derby, la madre di tutte le partite e gara che spesso può salvare una stagione. A Roma in particolar modo la stracittadina ha rappresentato, soprattutto fino agli anni ‘90, qualcosa di più di una semplice partita di calcio ma addirittura una sfida tra classi sociali, osava dire qualcuno. Una lotta di classe tradotta sul campo. La Roma, espressione del proletariato ma anche di quella nobiltà proveniente dalle fila della tifoseria del Roman football club, squadra dell’aristocrazia capitolina che partecipò alla fusione del 1927 e la Lazio, nata nel 1900 a Piazza della libertà e società che ha attratto le simpatie della borghesia di Roma nord. E non è un caso che la CNN consegnò al “derby der cuppolone” il secondo posto nella classifica dei derby più infuocati del mondo. Ma, e questa sarà la sorpresa per molti, non è sempre stata battaglia tra le due compagini.
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Sono infatti esistiti, per motivi diversi, momenti storici che hanno visto partite a ranghi unificati, gare in cui romanisti e laziali hanno vestito la stessa casacca e hanno difeso la stessa porta. La prima volta nel 1928 quando la selezione romana affrontò la squadra cecoslovacca del Viktoria Zizkov. La gara finì 4-2 per i romani e il successo prestigioso forse anche a forte carattere propagandistico per il regime mussoliniano spinse gli organizzatori a replicare pochi giorni dopo con l’amichevole tra la rappresentativa capitolina contro l’Hungaria ma questa volta il risultato finale (3-4) non sorrise ai padroni di casa. Dopo altre gare a ranghi unificati tra cui una partita che richiamò ben 20.000 spettatori nel vecchio Stadio Nazionale contro alcuni militari del British Army, romanisti e laziali scesero di nuovo in campo insieme nel 1973 quando Chinaglia e Prati, ammainata la rivalità che li vedeva bestie nere delle rispettive avversarie, affrontarono il CSKA Mosca perdendo 1-0 davanti a 50.000 spettatori. Sei anni dopo, giallorossi e biancocelesti replicarono la gara mista questa volta per una motivazione purtroppo diversa. Pochi mesi prima dalla curva sud era partito il razzo che uccise Vincenzo Paparelli così Roma e Lazio decisero di organizzare un evento che raccogliesse fondi per aiutare la famiglia del defunto tifoso biancoceleste. La gara ribattezzata “Derby dell’amicizia” rappresentò anche un momento di distensione tra due tifoserie pronte a farsi la guerra. E se sui muri della capitale non era insolito leggere scritte come “Taccola è solo l’inizio” (riferito al calciatore romanista morto per un infarto a Cagliari pochi anni prima) o infamanti alla memoria di Paparelli, sul campo si assistette ad una gara amichevole legittimata dalla buona causa della solidarietà.
Agli ingressi della struttura, furono distribuiti migliaia di garofani che recavano un cartellino con la scritta “Se proprio vuoi, lancia un fiore”. I giocatori in campo si divisero in Romani e Resto d’Italia. La formazione dei romani vedeva tra le sue fila ovviamente Bruno Conti e Bruno Giordano (non più divisi dal coro “Di Bruno ce n’è uno”) oltre ad Agostino Di Bartolomei, Francesco Cordova, Lionello Manfredonia, Francesco Rocca e Vincenzo D’Amico con Bob Lovati in panchina mentre nel Resto d’Italia militavano, oltre all’allenatore giallorosso Liedholm, il bomber Roberto Pruzzo con i vari Wilson, Ancelotti e Turone. Le due compagini scesero in campo con le divise in maglia verde e spalline bianche, per i romani, e in maglia bianca e spalline verdi per il Resto d’Italia. Due divise inedite contraddistinte però dai familiari stemmi dell’aquila e del lupetto stilizzato questa volta non più contrapposti ma uniti nella stessa maglia. La gara terminerà 2-1 per il Resto d’Italia con doppietta di Pruzzo. Agli ultras di entrambi gli schieramenti l’iniziativa non piacque e la boicottarono. Fu di fatto l’ultima occasione di gara a ranghi unificati tra le due principali squadre della capitale.