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Italbasket, tempo di bilanci: dal futuro del movimento alla politica sportiva

Alessandro Gentile in azione - profilo FB FIP

Non esiste il tasto “rewind” nel basket come nello sport e quello che sembrava al termine della partita tra Italia e Croazia ha lo stesso sapore anche quarantotto ore dopo, quello della delusione. Non ci sono dubbi, l’Italia partiva da favorita per tanti e diversi motivi e non ci sono dubbi, è stato un fallimento, per altrettanti e diversi motivi.

L’Italia giocava in casa e non è possibile sottovalutare un fattore del genere. Quattordici mila (forse qualche cosa in più) spettatori che remavano verso la stessa direzione sono il primo elemento e partecipare all’evento in mezzo a quella stessa gente non può far altro che essere testimonianza di un pubblico caloroso, appassionato, innamorato ma per certi aspetti davvero “solo”: bicchieri d’acqua venduti a 2/3 euro (bicchieri di birra a 5/6 euro), un solo stand per la vendita di prodotti ufficiali della nazionale italiana, nessuno che prevedesse la vendita  di prodotti di altre nazionali (in molti avrebbero voluto comprare la maglia di un Antetokoumpo o di un Saric).

Non si riesce davvero a capire il perché la gente arriva sempre dopo, perché al termine della partita l’ottimo servizio d’ordine non concedesse nemmeno di aspettare un amico impegnato in bagno e invitasse celermente a uscire, perché non fosse possibile nemmeno fare una foto a cinque centimetri di distanza al campo o all’ambiente circostante.

Il PalaAlpitour davvero un bell’impianto, moderno e persino fresco e con un grande spazio antistante caratterizzato da un enorme prato davanti e un playground che praticamente dava il benvenuto al pubblico pagante e non.

Sarebbe bello che in eventi del genere si cercasse di costruire una sorta di “village” e non solo un punto di incontro per l’evento sportivo. Sarebbe davvero bello poter restare al fischio finale della partita, restare in compagnia di chi ha visto la partita insieme a te e di non essere costretti a disperdersi in giro per la città stessa, magari illuminando il playground antistante, magari creando anche una sorta di discoteca per cui non serva per forza la camicia per gli uomini e tacchi per le ragazze che così addobbati si recavano proprio a ballare nello stesso PalaAlpitour, ma ad occhio e croce con il basket avevano poco a che fare.

C’è poi il motivo tecnico quello più importante. La Croazia ha vinto perché ha letto meglio la partita e perché ha battuto gli azzurri, per la prima volta senza infortuni, nei momenti mentali cruciali dell’incontro e l’ha sconfitta con la testa: senza penetrazioni a tesa bassa e uno contro uno continuati.

Il trend topic è Alessandro Gentile: un canestro non fatto e un palla persa sconsiderata le due azioni che hanno accompagnato l’uscita dell’Italia dal sogno olimpico. Il figlio di Nando è un portento, un mix fisico e tecnico di inestimabile valore, ma ora qualcosa deve cambiare. Il tiro in primis: intollerabile una tale meccanica a questo livello, con queste responsabilità e con la direzione che la pallacanestro sta prendendo. Fatto ciò è ora di sviluppare quel “fattore x” che lo deve rendere un giocatore della gente, anche di quella che in maniera becera e vergognosa lo insulta.

Quella strana sensazione che fa sembrare le stesse persone quelle che gioivano per l’arrivo di Messina e che un minuto dopo volevano la sua “testa” è netta realtà, invocando in certi casi meriti e ritorni di Simone Pianigiani. Dubbia la permanenza di coach Messina sulla panchina azzurra ma il basket non è, come diceva Pesic: “Se vinciamo bravo coach, se perdiamo solo coach”. Se Messina dovesse rimanere, allora potremo godere del lavoro del migliore allenatore italiano e non solo per quindici giorni, in caso contrario bisognerà scegliere un profilo nuovo e fresco che sappia ricaricare una macchina con le ruote a terra, tre nomi e solo idee per chi scrive: Luca Dalmonte, Matteo Boniciolli ed Andrea Trinchieri.

Sembra davvero che Andrea Bargnani sia ad un bivio davanti al quale decidere che strada far percorrere alla sua carriera. Il suo enorme e dilagante talento oramai non basta più e deve fare i conti anche con un fisico logoro. La sua assenza dal campo per più di sei mesi e il non aver accettato altre offerte si è fatta sentire e purtroppo anche tanto. Se Andrea Bargnani vuole essere il giocatore che si merita di essere e se vuole esserlo con l’Italia, deve prima chiarire con se stesso ed al basket, chi e come deve essere Andrea Bargnani.

Belinelli e Gallinari resteranno ancora in maglia azzurra? Due minuti dopo la partita si pensava che i primi a lasciare spazio alle nuove reclute potevano essere davvero loro, magari per allungare la loro carriera Nba. Ma poi, a mente lucida, ci si chiede mai il perché proprio loro dovrebbero optare per una scelta del genere. Sono i leader(s) emotivi e tecnici della squadra.

Datome è arrivato scarico fisicamente, totalmente. E chi conosce “Gigione” immagina la sofferenza di chi per sedici anni ha vestito come la sua prima maglia quella “azzurra”.

Nicolò Melli e Daniel Hackett sono le note positive e non a caso nell’anno in cui hanno deciso di portare i loro servigi all’estero. E al loro nome si lega il nome degli altri ragazzi che rappresentano il futuro e a un motivo politico, andiamo con ordine.

Pascolo, Abass e Fontecchio hanno appena firmato con Milano, ma questo gioverà davvero alla loro crescita? Li renderà giocatori migliori? Della Valle, Cervi, Cusin, Tonut, Poeta cresceranno facendo una coppa di livello basso come la Fiba Europe Cup e confrontandosi con un campionato di livello “normale” come quello italiano?

E qui il motivo politico: la guerra (che ha portato la Federazione Italiana a far ritirare Reggio Emilia, Sassari, Trento e Cantù dalla Eurocup per far loro disputare le sole competizioni Fiba) è servita? Esattamente, quale giovamento porterà al campionato italiano e ai suoi giocatori? Nessuno, davvero nessuno. E non farà altro che rendere il nostro campionato, un campionato ancor meno appetibile e ancora meno di valore dal punto di vista qualitativo.

Che si riparta dai bambini, di cui Torino era piena, si riparta con la formazione giovanile seria e non quella che porta a un gioco al massacro sui territori, che non impone a ragazzi di non doversi misurare con serie più alte per colpa di spese di tesseramento folli, delle società che non pagano. Si valorizzi il pubblico, i tifosi con programmazioni serie, si dia valore e dignità al basket femminile. È ora di fare davvero.

Un forte e bell’applauso bisogna farlo: ai social network della Nazionale e a chi ci lavora, unico barlume di modernità e aria fresca in un movimento stantio.

Il tabellone si è spento ancora una volta (come anche durante finale): bisogna riaccenderlo subito e che stavolta il punteggio racconti una vittoria, del movimento.

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