Serie A

Figc, Gravina: “Se mi dimettessi sotto certi profili farei un disastro”

Gabriele Gravina
Gabriele Gravina - Foto LiveMedia/Alessio Marini

Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha parlato durante una lunga intervista a L’Espresso. Ecco le sue parole: “Quando nel mondo del calcio sento dire: ‘Noi creiamo ricchezza’, mi permetto di dire: ‘Però anche debiti’. Purtroppo il settore ha un indebitamento che oscilla ormai intorno ai 5 miliardi di euro, quindi c’è una confusione incredibile tra il concetto di crescita e il concetto di sviluppo. La crescita riguarda un valore assoluto. Lo sviluppo implica un concetto relativo basato su valutazioni soggettive. Sviluppare significa ‘togliere dal viluppo’, quindi crescere tenendo sotto controllo i costi. Altrimenti, se tu cresci, aumentano i costi e, sforando la crescita, tu fallisci”.

Nel calcio i soldi servono per vincere?
“C’è un’equazione che non è mai vera: chi spende di più, vince di più. Ultimamente non è così. Altrimenti il PSG avrebbe stravinto negli ultimi anni e non avrebbe vinto il Napoli, che è quello che ha speso un po’ meno rispetto a tutti gli altri. Diciamo che c’è un aspetto che riguarda ogni settore dell’economia di mercato, ovvero la progettualità. Chi ha progettualità, visione e riesce a trasformarle in un qualcosa di reale, riesce anche a centrare risultati importanti. Diversamente, non è che se spendi di più, vinci di più. Molte volte assistiamo a delle situazioni che destano pure grande preoccupazione. Qualcuno, per esempio, è convinto di dover investire più risorse di quante potrebbe per accedere al campionato di categoria superiore, ma poi puntualmente fallisce e quindi, non solo non ottiene la vittoria, ma perde anche tutto quello che aveva in cassa”.

Qual è la situazione del calcio?
“Il calcio è governabile e, secondo me, è governato pure bene. Bisogna non confondere le conflittualità dialettiche tra alcune componenti con l’ingovernabilità. Nel mondo del calcio ci sono sette componenti: arbitri, calciatori, allenatori, dilettanti, professionismo di base, professionismo medio e alto. È complicatissimo far convergere tutti e mettere insieme gli interessi di chi gioca e di chi allena o deve arbitrare. Quindi, è chiaro che ci deve essere necessariamente una dialettica, un confronto e uno scambio di riflessioni. Non è, al contrario, accettabile che questo confronto venga strumentalizzato oppure contaminato da interessi personali, simpatia o antipatia”.

Ci spieghi meglio il discorso a cui accennava dei debiti.
“Bisogna dire anche che c’è chi paga. Perché i debiti bisogna pagarli. Io sono preoccupato per l’indebitamento, perché vorrei aiutare i dirigenti, e mi dispiace che ci sia questa situazione. Ma non bisogna mai dimenticare che ci sono finanziamenti infruttiferi a favore delle proprietà, altrimenti non potrebbero partecipare. Come Federazione andiamo loro incontro, riduciamo i costi, vogliamo che ci sia una visione diversa nell’organizzazione e nella gestione dell’azienda che permetta a questi proprietari di essere più oculati e di immettere meno risorse all’interno del nostro mondo”.

Che cosa può dirci sulle plusvalenze, tema che è salito alla ribalta ultimamente?
“Credo che ogni azienda debba fare plusvalenze, ma bisogna fare quelle giuste. Bisogna evitare le alchimie e puntare alle plusvalenze reali. Perciò serve il patrimonio, costituito dalle infrastrutture, che consente di avere anche uno sviluppo dei settori giovanili. Infrastrutture e settori giovanili sono i due asset che in Italia non abbiamo, rispetto ad altri paesi. Quindi la criticità di tutto il sistema calcio è un rapporto altissimo tra valore della produzione e costo del lavoro: in aziende di altri comparti oscilla intorno al 30 per cento, in altre realtà calcistiche al 50, in Italia quasi al 90. Siamo completamente fuori rotta. L’altro problema è che non riusciamo a patrimonializzare. Il patrimonio qual è? Non è il calciatore, che è un bene strumentale. Il patrimonio, appunto, è rappresentato dai settori giovanili. Il circolo virtuoso, allora, è valorizzare i giovani che generano plusvalenze e le infrastrutture che consentono la valorizzazione stessa dei giovani e permettono attività economiche di produzione reale nell’ambito di un’organizzazione. Noi, invece, questo ancora non l’abbiamo capito. Purtroppo”.

Si sente sulla graticola?
“No, assolutamente. Ascolto volentieri i consigli delle persone che sono in buona fede ed è chiaro che il fatto di legare un’attività politica a un risultato sportivo la dice lunga su alcune scelte. Credo molto nei principi della democrazia. Se il mio consiglio federale e se la base elettorale non dovessero avere fiducia nella mia attività politica, andrei via immediatamente. Ma non sono i detrattori che votano e io continuo a lavorare per il bene del calcio italiano. Io devo rispondere alla gente che continua a darmi fiducia, che crede in quello che stiamo facendo. Quando verrà meno questa fiducia, andrò via. Ma fino a quando questa fiducia ci sarà, io andrò avanti per la mia strada”.

Le dimissioni produrrebbero problemi a cascata?
“Infatti. Proviamo a ipotizzare uno scenario in cui io me ne vada via domani mattina: siamo alla scadenza di un mandato, perché fra un anno e qualche mese si vota. Attualmente la FIGC è presente nella giunta del CONI, dove non entrava da tempo, è anche nel comitato esecutivo della UEFA, dove ricopro la carica di vicepresidente, ed è impegnata in una progettualità legata all’organizzazione di Euro 2032. Se mi dimettessi, farei un disastro sotto questo profilo. Quindi, mi chiedo: è un atto di responsabilità? Ha senso?”.

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