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Dall’Italia alla Florida inseguendo una passione che le ha già dato grandi soddisfazioni nella prima delle sue carriere. Valentina Sassi, nata a Seravezza, in provincia di Lucca, il 12 luglio 1980, è stata numero 144 WTA e ha conquistato in carriera 6 titoli internazionali in singolare tra il 1998 e il 2007. Una volta terminata l’attività agonistica, la toscana ha deciso di restare nel mondo del tennis: oggi vive a Boca Raton, negli States, e lavora come coach alla One Tennis Academy.
“Ho scoperto il tennis grazie alla mia famiglia – racconta Valentina ripercorrendo le sue prime tappe con la racchetta in mano –. Mio padre e mio fratello amavano questo sport e allora a 9 anni decisi di iniziare a giocare. Fu amore a prima vista, e piano piano la passione crebbe disputando una buona carriera giovanile sino a far diventare il tennis il mio lavoro”.
Indelebili i ricordi dei trionfi nel circuito ITF: “Il primo titolo conquistato a Campos, in Brasile, fu il trampolino di lancio della mia carriera. Guadagnai punti importanti e iniziai a sentirmi una giocatrice a tutti gli effetti. Ricordo con estremo piacere anche il secondo $10.000 vinto la stagione successiva, nel 1999 in Francia, a Le Havre: c’erano una piccola Marion Bartoli ed altre giovani tenniste molto interessanti. E poi nel 2001 il successo nel $25.000 di Grado fu l’ultimo torneo che giocai prima di volare per la prima volta a Wimbledon. Ogni titolo è speciale a modo suo, ho tanti bei ricordi”. Nelle qualificazioni degli US Open 2002 Valentina Sassi affrontò anche Svetlana Kuznetsova, poi diventata numero 2 del mondo: “Io avevo un buon rovescio incrociato che poteva essere determinante contro di lei, ma la russa riusciva sempre a girarsi di dritto per tirare il vincente. Era forte, grossa, veloce e potente: era impossibile trovarle un punto debole”.
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Ora l’azzurra insegna: “Alleno le mie figlie, Asia e Sofia, e la più grande che ha 12 anni ottiene regolarmente buoni risultati. Io penso che il sistema italiano funzioni: qui in America si punta sul fisico e sulla potenza, ma l’intelligenza e gli schemi tattici tipici degli italiani spesso prevalgono. Lavoro in una grande accademia in cui accogliamo quasi tutti i giorni bambini di altri centri che vogliono giocare test match. Qui c’è la concezione che più partite giochi, più migliori rapidamente. Oggi hai un ragazzo, domani non ce l’hai più: non è facile lavorare così. Si usa far colpire tante palle in ogni allenamento, forse troppe. Secondo me non c’è tanto cuore nel sistema USA, si bada molto alla quantità”.
Valentina ha condiviso esperienze anche con Roberta Vinci e le altre campionesse azzurre che hanno dominato la scena in Fed Cup e non solo, ma adesso nel tennis italiano sono gli uomini a raccogliere regolarmente trionfi: “Me lo aspettavo. Abbiamo maestri meravigliosi in Italia, maestri esperti che sanno insegnare il tennis e il rispetto del lavoro. Tutti gli allievi sono importanti. Con questi valori è più facile portare in alto un bambino promettente”. Diversa la situazione negli Stati Uniti: “Qui è pazzesca la competitività tra genitori. C’è troppa pressione, non c’è la cura dell’essere umano. Ci vorrebbe molta più pazienza. Ogni weekend c’è un torneo giovanile: tabellone a 32 giocatori, solo due giorni di gare. Giochi anche tre partite in un giorno, è dura. Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia: i bambini sanno di dover risparmiare energie il più possibile, quindi stanno più concentrati anche nel momento in cui devono chiudere il match. È un lavoro diverso ma costruttivo a cui molti si abituano velocemente”.
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