Il quotidiano La Repubblica oggi in edicola ha intervistato l’ex tennista Yannick Noah, 56 anni, tre mogli, 5 figli e 11 album all’attivo con ben sei milioni di dischi venduti. Noah è stato il primo giocatore di colore e l’ultimo francese a vincere il Roland Garros. Da CT ha vinto tre coppe Davis.
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“Ho fatto tutto per piacere, i miei genitori me lo dicevano sempre. Ma per riuscire bisogna dedicarsi. Ci ho messo dieci anni per imparare a giocare a tennis e altri dieci per imparare a stare su un palco. Sono passato anche io per la gavetta: suonavo davanti a poche persone che non mi ascoltavano e in posti senza luce. Non mi è pesato perché amo quello che faccio”. Noah è sicuramente un personaggio diverso dagli altri. Si schiera sempre: “L’attacco a Charlie Hebdo ha cambiato tutto. Io non avevo patito la guerra e ora siamo testimoni di questa grande follia. La storia e la conoscenza non contano più, c’è solo la sciocchezza e l’ignoranza”. Nell’intervista e Emanuela Audisio parla anche di doping e del caso Sharapova: “Poveraccia, non mi è mai stata simpatica e non mi piace chi bara. E non sopporta l’ipocrisia, la finta verginità. Questo stupore del mondo del tennis è offensivo, le hanno perfino permesso di dare l’annuncio della sua positività e gestire la sua colpa in maniera elegante e soft, da notte degli Oscar. Troppi soldi e la lotta al doping è impari. Ci sono cascati anche i tennisti italiani”. A 23 anni Noah pensò al suicidio: “Ero stordito, volevo buttarmi giù, ero in crisi di identità: ero veramente l’eroe che la Francia osannava? Tutti mi chiamavano dopo la vittoria al Roland Garros, ma possibile che fossi così bravo, buono e bello? Poi ho preso coscienza: è il percorso che fai per arrivare la cosa più importante”. Il difetto? “Eccedo, sono intenso nei piaceri”. E oggi? “Nel tennis di oggi non mi riconosco e non pensavo che Amélie Mauresmo fosse un coach così apprezzato e vincente”. Sugli idoli Alì e Mandela: “Oggi manca la luce. Non c’è chi può riscrivere una speranza per il mondo”.