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Appesa la racchetta al chiodo, almeno a livello professionistico, nel 2014, all’età di 36 anni, Alessio Di Mauro è il tennista che meglio ha rappresentato nel mondo, nella storia di questo sport, la propria regione, la Sicilia: nato a Siracusa il 9 agosto del 1977, il mancino aretuseo ha infatti raggiunto la posizione numero 68 delle classifiche mondiali nel febbraio del 2007 e può vantare, oltre a ben sette titoli a livello Challenger, una finale persa a Buenos Aires contro il padrone di casa Juan Monaco nello stesso anno. Ammirevole professionista, si è concesso ai microfoni di Sportface.it, ricordando i suoi trascorsi nel circuito e simpatici aneddoti che hanno contraddistinto la sua ventennale esperienza. Tra le tante affermazioni, ricordiamo gli ottavi raggiunti a Monte Carlo battendo Stan Wawrinka e Radek Stepanek o l’ultimo torneo vinto in Messico, a San Luis Potosi nel 2013, partendo addirittura da qualificato e superando giocatori del calibro di Malek Jaziri e Norbert Gombos.
Alessio Di Mauro oggi: il tuo rapporto col tennis?
“Il mio rapporto con questo sport è speciale, come per la maggior parte dei tennisti d’altronde, perché è nato nei primissimi anni di vita e nel mio caso è durato fino all’età di 36 anni per 24 ore su 24 al giorno: se fai il professionista devi vivere per il tennis. Adesso sto continuando il lavoro che ho iniziato qualche anno fa con i miei allievi del CUS Catania”.
Il tennis è uno sport in perenne evoluzione: secondo te in quali aspetti è cambiato maggiormente rispetto ai primi anni Duemila?
“Avendo giocato per venticinque anni, ho cambiato diverse volte modalità di gioco: il tennis, come hai detto, è sempre in continua evoluzione. Quand’ero in attività , si è passati rapidamente da atleti alla “Bum bum” Becker a giocatori veloci come Kuerten o Ferrero. Adesso penso che il tennis ha raggiunto un livello assoluto di completezza, nel senso più stretto del termine: a livello fisico sono tutti molto forti e le partite si giocano su pochi punti. Rispetto al passato c’è meno talento, non ti può sfuggire un centimetro che perdi immediatamente il game, gli avversari ti aggrediscono continuamente. Devi stare sempre bene fisicamente, è questo l’aspetto fondamentale”.
Il 2007 l’anno della tua consacrazione: hai raggiunto la 68esima posizione, tuo miglior piazzamento. Quali i segreti? E’ solo questione di allenamento?
“Il 2007 è stato l’anno in cui ho raggiunto il best ranking, ma non lo considero in assoluto come il mio miglior anno, perché ho giocato molto bene nel 2006 ed è lì che ho costruito la mia classifica: ottavi a Montecarlo, quarti ad Acapulco, battendo tre tra i primi quindici al mondo, ovvero Ferrer, Stepanek e Coria. Nel febbraio del 2007 feci finale a Buenos Aires, ma penso di avere giocato per tre-quattro anni a livelli molto alti, oscillavo tra la 68esima posizione e la 120esima. Il segreto è sicuramente l’allenamento: sono sempre stato continuo e, avendo giocato fino ai 35-36 anni, ho sempre fatto le cose per mantenere il fisico allenato e soprattutto, fortunatamente, non ho mai avuto grossi infortuni. Mi sono mantenuto bene e sono riuscito a giocare fino ai 36 anni. Poi il segreto vero è la testa, perché devi essere sempre al 100%: è uno sport difficile, viaggi da solo, devi sapere gestire le situazioni, la programmazione. Le decisioni alla fine le prendi tu, non l’allenatore. Qui hanno giocato un ruolo fondamentale sia i miei genitori, che hanno sempre creduto in me, sia i miei fratelli, che avevano già una certa esperienza nel campo”.
Ci racconti un aneddoto simpatico avvenuto all’interno del circuito con te protagonista o spettatore?
“Guarda, te ne potrei raccontare tanti, ma dovremmo stare qui a parlarne per tutta la giornata. Uno è sicuramente molto simpatico: giocavo contro uno sloveno di origini bosniache, Iztok Bozic, a Bressanone. Perdevo abbastanza facilmente, 4-1 addirittura con doppio break di svantaggio nel primo; a quel punto ho iniziato ad alzare pallonetti “a candelotto”, come un socio da circolo qualsiasi. Questo è praticamente impazzito, non è riuscito più a chiudermi un punto; siamo andati 6-4 4-0 per me e lì, all’ennesimo pallonetto, lui ha fermato la palla con la mano e mi ha detto: “What’s this? This is no tennis!“, ha preso la borsa e se n’è andato. L’arbitro era stupito, io chiaramente contento per aver vinto: è stata una delle situazioni più divertenti che ho avuto modo di vivere”.
Probabilmente lo saprai anche tu: sei uno dei pochi giocatori a poter vantare una situazione di parità negli scontri diretti sia con Andy Murray che con Stan Wawrinka (1-1 in entrambi i casi). Altri tempi, è vero, ma pensavi, quando li hai affrontati, che avrebbero potuto fare un salto di qualità del genere?
“Assolutamente sì. Quando ho giocato con Murray la prima volta, a Barletta, ho vinto abbastanza facilmente: era un ragazzino di diciotto anni, insultava l’allenatore, Pato Alvarez all’epoca, e si lamentava di continuo: “Perché mi fai giocare sulla terra? Questo mi sta prendendo a pallate!”. Un anno e mezzo dopo era già un altro giocatore e si è preso una netta rivincita agli Us Open: mi ha stampato un 6-0 6-1 6-1 che, ti giuro, non vedevo l’ora di scappare dal campo. In un anno ha avuto un cambiamento incredibile. Wawrinka forse mi ha stupito un po’ di più: pensavo che sarebbe potuto arrivare tranquillamente in top ten, ma che avrebbe vinto addirittura tre tornei dello Slam… E, vedrai, non si fermerà qui!”
I migliori rapporti nel circuito? I giocatori meno cordiali?
“Amici nel circuito ne ho avuti tantissimi, considerando i tanti anni di attività : uno dei rapporti migliori l’ho avuto sicuramente con Francesco Aldi, peraltro anche lui siciliano; negli anni ho legato parecchio anche con Filippo Volandri, Potito Starace e Alessandro Motti. In generale mi sono sempre trovato bene un po’ con tutti. Per quanto riguarda quelli meno cordiali non ne ho avuti tantissimi; le vittorie per cui ho goduto maggiormente sono sicuramente quelle di Monte Carlo contro Wawrinka e Stepanek, che non sono propriamente il massimo della simpatia”.
Altri protagonisti del tennis di oggi che hai affrontato: Gasquet, Del Potro, Goffin, Bautista, Monfils. Cosa dire di loro? Qualcuno tra questi ti ha colpito particolarmente?
“Ho giocato contro Gasquet in finale a Barletta: una partita bellissima, ho avuto anche un paio di set point per andare al terzo, ma lui era già di un livello mostruoso, non a caso fece semifinale a Monte Carlo solamente un mese più tardi; la prima volta in cui ho giocato con Del Potro vincevo 3-0 al terzo, al Challenger di Biella: lui aveva 17 anni, chiamò da veterano l’intervento del fisioterapista e, quasi prendendomi per i fondelli (ride ndr), ha ribaltato clamorosamente la partita; sarebbe diventato un grande, si vedeva subito. Contro Goffin ho vinto una volta, poi ci siamo affrontati in Slovenia e mi ha letteralmente preso a pallate, giocava già a un ritmo altissimo, un po’ come ora: il salto di qualità  avvenuto nel giro di pochi mesi è stato mostruoso. Bautista è quello che in assoluto mi ha sorpreso di più: a me piacciono i lottatori come lui, per arrivare dov’è arrivato ha superato le sue possibilità , ha fatto delle grandissime cose. Monfils l’ho incrociato nel 2005 a Tunisi: atleticamente è mostruoso, tra i più forti, un vero e proprio giocatore di basket, qualità fisiche incredibili; è uno anche simpatico e divertente in campo”.
Momento migliore e peggiore della carriera?
“Il momento migliore della carriera, come ho già detto prima, è da collocare tra il 2006 e il 2007, grazie a degli ottimi risultati ottenuti: ho battuto Coria che era 6 del mondo, Stepanek 11, Ferrer 13, ottavi a Monte Carlo battendo anche Wawrinka, quarti ad Acapulco, ho superato il primo turno sia a Wimbledon che agli US Open, entrando direttamente in tabellone in tutte le prove del Grande Slam. Il momento peggiore è stato chiaramente quello della squalifica, ma devo dire che nel corso degli anni i nodi sono poi venuti al pettine. Non sapevano chi accusare e hanno preso uno a caso: io mi divertivo a giocare online e mi hanno contestato 52 scommesse che ho fatto sul tennis, tutt’e 52 perdenti e di importi tra i 6 e gli 8 euro. Ci sono poche parole: negli anni successivi sono venuti fuori altri fatti e molto più delicati, ma tutto è passato in secondo piano; su questo argomento stendo un velo pietoso”.
Se dovessi paragonarti a un giocatore in attività ?
“Ormai ci sono pochi giocatori in attività che giocano al mio stesso modo, ma sono sicuro che il mio gioco, fatto di variazioni e cambi di ritmo, ancora oggi darebbe fastidio a tantissimi ragazzi che tengono un ritmo e un’intensità alta. Chiaramente, non è possibile fare un paragone tra le mie condizioni attuali e quelle di un ragazzo di 18-19 anni che si allena tantissime ore al giorno ma, secondo me, ripeto, potrei ancora dire la mia in qualche torneo”.
Chi vedi bene tra i giovani del circuito? E tra gli italiani?
“Stanno venendo fuori diversi profili interessanti: ci vorrà sicuramente un po’ di tempo per vederli tra i primi al mondo, perché i vari Djokovic, Federer, Nadal non vogliono ancora saperne di smettere. Su tutti Thiem e Zverev mi sembrano i possibili principali eredi. Tra gli italiani non vedo nessuno che, nel giro di breve tempo, possa raggiungere degli eccellenti risultati: chiaramente tante aspettative ci sono per Donati, anche se ultimamente gli infortuni lo costringono allo stop un po’ spesso, o Cecchinato, che a mio avviso è uno dei nomi che potrebbe tornare tra i primi 100 nel giro di qualche mese; anche Gaio sta facendo molto bene”.
Cosa pensi del caso Giorgi-Federazione?
“A dire il vero ho seguito superficialmente lo scontro tra la Giorgi e la Federazione: io penso che per il bene della ragazza e della Federazione le cose dovranno tornare come prima. Camila può dare tanto all’Italia e spero che questo problema possa essere risolto al più presto”.
Ultima domanda: vedendo Estrella Burgos o Lorenzi, quasi tuoi coetanei, penso che Alessio Di Mauro avrebbe potuto ancora dire la sua. Quanto ti manca il tennis, hai mai pensato di tornare nel circuito?
“No, non ho mai pensato di rientrare nel circuito: avevo pensato parecchio alla mia decisione ed ero molto deciso. Certo, la voglia è sempre stata tanta, più che altro la voglia di giocare tornei, di rimanere nel circuito, certamente non di viaggiare o preparare le valigie, cose che ultimamente mi stressavano anche parecchio. Una cosa che subivo negli ultimi anni era la differenza di età con gli altri ragazzi del circuito, a livello di rapporto con loro c’era poco da discutere: i ragazzi di vent’anni parlano di alcune cose, io a 35 di altre. Quando mi ritrovavo in un torneo con un ragazzo di 32-33 anni ero l’uomo più felice del mondo, ma questo non avveniva spesso. Vedendo l’esempio di Paolo, che considero un ragazzo di un’intelligenza incredibile, ha saputo gestire bene la sua carriera, ha sempre fatto le scelte azzeccate, e che ho sempre ammirato per questo, la voglia di giocare certamente c’è sempre, ma il mio è stato un addio definitivo”.
Grazie mille Alessio, è un piacere che tu abbia condiviso con noi di sportface.it la tua grande esperienza e i ricordi di un’intera carriera!
“Grazie a voi, a presto!”