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“Credo ci sia un pochino di fastidio, non so se il termine giusto sia ‘rosicare’. Non esiste nessuna legge che dice che chi vince lo sprint dev’essere per forza americano o inglese“. A parlare è Antonio La Torre, direttore tecnico delle squadre nazionali di atletica leggera, che replica ai microfoni di “Radio Popolare” ai dubbi sollevati dal Washington Post e dal NY Times che giudicavano “molto repentini” i miglioramenti cronometrici di Marcell Jacobs, campione olimpico dei 100 metri ai Giochi di Tokyo 2020.
La Torre ha spiegato: “Nel 2003, ai mondiali di Parigi, vinse un certo Collins nato nelle isole Saint Kitts e Nevis. Questo per dire che c’è talmente tanta partecipazione a questa gara che, a volte, bisogna solo avere pazienza e aspettare che i talenti maturino per dare pieno spazio al loro motore e alle loro potenzialità – sottolinea – Se avesse delle ginocchia un po’ meno fragili probabilmente oggi avremmo celebrato Marcell Jacobs campione olimpico di salto in lungo. Marcell ha un record personale vicino agli 8.50 metri e oggi la gara è stata vinta con un salto di 8.41 metri. Jacobs ha lavorato benissimo in questo anno e mezzo, nonostante la pandemia. I segnali si sono visti da questo inverno. In atletica non si inventa nulla, altro che miglioramenti repentini. Quest’inverno a Torun, in Polonia, ha vinto il titolo europeo con 6″47 secondi sui 60 metri, la miglior prestazione mondiale dell’anno. A Savona ha corso i 100 metri in 9″95 secondi e poi tante altre gare sotto o vicino ai 10 secondi. La nostra strategia era dare il massimo alle Olimpiadi”.
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