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Attenzione a dare tutto per scontato. Il Tour de France 2017 ha una serie di punti di domanda aperti. E le previsioni sulla maglia gialla, ai nastri di partenza, sono decisamente incerte. Ci sono incognite disseminate lungo il percorso (per la prima volta dopo 25 anni, in questa edizione numero 104, si affronteranno tutte e sei le catene montuose che attraversano la Francia) e qualche dubbio sulla condizione iniziale dei big. Per non parlare di gerarchie studiate a tavolino che possono essere sovvertite dalla corsa stessa. Il polso dei favoriti è pronto per essere tastato: ma spulciando tra i dati, emerge qualcosa di sorprendente.
Partenza obbligata: Chris Froome. Il britannico va per il poker, dopo le vittorie del 2013, del 2015 e del 2016. L’anno scorso ha dominato, vincendo in salita, in pianura e persino a piedi (ricordate la sua corsa disperata sul Mont Ventoux?). Quest’anno, però, c’è qualcosa che non quadra. Partiamo da una constatazione che è piuttosto scaramanzia che strategia. Ma tant’è. La chiave si chiama Giro del Delfinato: Froome ha vinto tutte le edizioni che hanno preceduto le sue affermazioni al Tour. Nel 2014 andò in crisi negli ultimi giorni del fratello minore del Tour de France e si presentò alla partenza della corsa che fu di Vincenzo Nibali con qualche appannamento di troppo (in quella circostanza si ritirò dalla Grande Boucle a causa di una caduta, frutto anche di una condizione non particolarmente brillante nella prima settimana). Il Delfinato 2017 lo ha colto impreparato in più di una circostanza e lo ha relegato fuori dal podio. Tattica o segno del destino? Fatto sta, che quest’anno – tra Herald Sun Tour, Vuelta di Catalogna, Giro di Romandia e, appunto, Delfinato, non è ancora riuscito a vincere. E non gli era mai capitato dal 2013.
Capitolo secondo, Nairo Quintana. Il colombiano ha scelto l’approccio hard al Tour de France 2017, partecipando al Giro d’Italia del Centenario e finendo in seconda posizione. Sulle strade del Bel Paese sembra aver corso in riserva. Non si spiega altrimenti il fatto che, esclusa la tappa del Blockhaus (dove è stato effettivamente di un’altra latitudine), le abbia prese un po’ da tutti: in salita da Thibaud Pinot e da Domenico Pozzovivo, in discesa da Vincenzo Nibali, a cronometro da Tom Dumoulin. Proprio in quest’ultimo esercizio Quintana è sembrato particolarmente in difficoltà. Nel Tour 2017 le prove contre la montre sono sorprendentemente brevi (i 14 chilometri del prologo di Dusseldorf e i 23 chilometri di Marsiglia), ma al Giro il colombiano ha pagato dazio anche sulle distanze corte. Non abbiamo dati recenti (dopo il Giro, Quintana si è eclissato in altura, senza partecipare a nessuna gara) ma, se non ritroverà l’esplosività in salita, per lui sarà dura.
Il paragrafo della nostalgia canaglia è dedicato ad Alberto Contador. El Pistolero va per le 35 primavere, 14 delle quali passate in sella a una bicicletta. Ma in questo 2017, con la sua nuova squadra (Trek-Segafredo), ha ritrovato una seconda giovinezza, specialmente nella prima parte di stagione. Ha collezionato secondi posti alla Vuelta di Andalusia, alla Parigi-Nizza, alla Vuelta di Catalogna e al Giro dei Paesi Baschi. Non benissimo nel Delfinato, ha comunque dimostrato una discreta gamba in salita. Sarebbe fantastico vederlo caracollare sui pedali, con quell’andatura che solo lui sa spingere, accanto ai migliori.
L’enfant du pais è Romain Bardet, eterna promessa a cui si affidano i francesi (orfani in questo Tour 2017 anche del ragazzino terribile Julian Alaphilippe, infortunatosi al ginocchio al Giro dei Paesi Baschi). Sulle sue spalle c’è il peso di Bernard Hinault e di quell’ultima maglia gialla transalpina 35 anni fa. Anche per lui il 2017 è stato avaro di successi, con un Delfinato corso leggermente al di sotto delle aspettative. Ma il Tour gli dà sempre una carica particolare. Tra i quattro moschettieri è quello che ha le carte maggiormente in regola per progettare il blitz. E gli organizzatori gli hanno dato una mano, riducendo all’osso i chilometri a cronometro. Che sia la volta buona per interrompere la maledizione?
L’Italia, invece, è attesa da un Tour di sofferenza e da dita incrociate. La speranza è Fabio Aru che però, in base alle parole del direttore sportivo dell’Astana Giuseppe Martinelli, sarà il numero due della squadra che fu di Michele Scarponi. La punta, almeno inizialmente, sarà Jakob Fuglsang, il danese che ha messo le mani sul Giro del Delfinato. Il Cavaliere dei 4 Mori, però, ha una gamba ottima, specialmente in salita. Certo, ha cambiato preparazione in corso d’opera in seguito all’infortunio che lo ha privato del Giro d’Italia che partiva dalla sua Alghero. E per una questione di parametri, la sua esplosività non può essere ottimale. Ma i freddi dati dei computer non prendono mai in considerazione la grinta di un ragazzo che, quando va in pendenza, aggredisce la montagna a bocca larga. Se Aru dovesse trovarsi in zona podio alla vigilia dell’ultima settimana, sarà un osso duro per tutti, compagno di squadra compreso.
Menzioni d’onore? Richie Porte della BMC è un gradino al di sopra di tutti gli altri. Gli australiani, però, hanno la tendenza a sparire nell’ultima e decisiva settimana. Durante il Delfinato (chiuso in seconda posizione) ha pedalato bene e in questo Tour 2017 potrebbe migliorare il quinto posto dello scorso anno. Dietro di lui, in griglia di partenza, ci sono anche Tony Martin (Team Katyusha-Alpecin), Roman Kreuziger (Orica-Scott) e Alejandro Valverde (Movistar). Quest’ultimo, gregario di lusso di Quintana, è pronto ad assumere i gradi di capitano in caso di imprevisti. O per altri motivi legati alla sua straordinaria fantasia in corsa.