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“Io dal passo del Pordoi chiudo gli occhi e vedo il mare”. L’immagine ossimorica è firmata Renato Curreri, cantante degli Stadio. La canzone, E mi alzo sui pedali, è dedicata a Marco Pantani. Ma in realtà, il campione da citare per questa storica montagna della Val di Fassa – sono ben 37 in 100 anni di Giro d’Italia i passaggi su questa cima – è Fausto Coppi.
Nessuno come il Campionissimo riuscì a interpretare meglio le sue pendenze, sia dal versante di Canazei, sia da quello di Arabba. Del resto, per quanto si possa rigirare da un lato o dall’altro, il Pordoi resta sempre tale, un nome e una garanzia. L’erta verso il cielo, a 2200 metri d’altezza, dove si sente il verso dei rapaci. Solo lo Stelvio raggiunge picchi più alti.
Sul Pordoi c’è un monumento, posato nel 2000. Il profilo che emerge dal bronzo ha il naso aquilino e la schiena un po’ curva, i capelli perfettamente in ordine anche nel momento di massimo sforzo. Lo riconoscerebbe anche un bambino, perché Coppi è l’icona del ciclismo per eccellenza. E il Pordoi lo ha reso celebre, tenendolo a battesimo nel 1940, a braccetto con Gino Bartali (il capitano, in quell’occasione, l’avversario qualche ora più tardi). Il toscano, già allora, lo guardava torvo e sospettoso ed ebbe ragione quando il giovanotto di 21 anni gli soffiò la maglia rosa finale.
Compresa quella scalata del 1940, Coppi passò per primo in cima al Pordoi per sei volte. In quattro occasioni vinse il Giro d’Italia. Talismano ed equilibratorice, la montagna ha emesso sempre delle sentenze memorabili. Nell’edizione del centenario, la salita sarà la prima protagonista della diciottesima tappa. Una frazione monumento, con cinque gran premi della montagna, due di questi di prima categoria. Quattromila metri di dislivello, a una pendenza media del 7%. I numeri che determinano la statura di un campione.