Calcio

Sinisa Mihajlovic come Fatih Terim, finalista in Coppa Italia ma senza panchina

Sinisa Mihajlovic - fotomenis.it

Non è bastato riportare il Milan in finale di Coppa Italia dopo 13 anni e condurre un girone di ritorno di tutto rispetto condito da successi su Fiorentina e Inter e un pareggio nella bolgia del San Paolo con il Napoli. Nonostante tutto, Sinisa Mihajlovic è stato sollevato dall’incarico di allenatore dal Presidente Silvio Berlusconi. Il tecnico, come in molti sostengono, probabilmente paga per colpe non sue e l’assenza sempre più pesante di un progetto del club di via Aldo Rossi. Ma soprattutto, tra il tecnico serbo e il numero uno rossonero un amore mai realmente sbocciato. Se Galliani ha provato a far cambiare idea al Cavaliere nella galeotta cena ad Arcore con Brocchi, l’impressione è sempre stata quella d una spada di Damocle sulla testa di Sinisa. Approfittando di un filotto di cinque partite senza vittorie e dalla sconfitta a San Siro contro la Juventus, Berlusconi ha così anticipato i tempi promuovendo Brocchi dalla Primavera alla prima squadra, impedendo a Mihajlovic di disputare la finale di Coppa Italia conquistata sul campo.

Non è comunque l’unico caso. Riavvolgendo il nastro, tornando alla stagione 2000-01 e spostandoci a Firenze, destino simile toccò ad un’altra vecchia conoscenza rossonera. Fatih Terim, dopo aver raggiunto con la Fiorentina l’atto conclusivo di Coppa, fu rimpiazzato a marzo da Roberto Mancini. L’allenatore turco aveva annunciato a metà gennaio di non voler rinnovare il contratto a causa dei mancati investimenti sul mercato da parte del Presidente Cecchi Gori, e di lì l’inevitabile flessione dei viola, solamente noni a fine a campionato seppur con una Coppa Italia in più in bacheca. Il cammino dell’ “Imperatore” sembra così essere intrecciato a stretto giro con quello di Sinisa: non solo per la breve permanenza sulla panchina rossonera (dopo la Fiorentina, Terim approdò proprio al Milan ma fu esonerato già a novembre dopo la sconfitta col Torino), ma anche per il rapporto conflittuale con le dirigenze. Se tra Fatih e Cecchi Gori le incomprensioni erano sotto il punto di vista economico, tra Sinisa e il Presidente rossonero si è trattato forse di un’incompatibilità di caratteri, ancor prima di visioni differenti di calcio. Mihajlovic – come Seedorf – non può propriamente definirsi uno “yesman”, preferendo invece sventolare senza troppi giri di parole la verità su una rosa non all’altezza per competere con le prime delle classe. Aggiungiamoci qualche frecciatina, seppur scherzosa, come l’ormai celebre “Berlusconi può parlare di calcio, ma solo con il mio permesso” ed il gioco è fatto…

I tifosi hanno provato a farsi sentire sui sociali (ieri #iostoconSinisa tra i top trend di Twitter), anche l’opinione pubblica condanna una società con le idee poco chiare. Di certo, Mihajlovic doveva quantomeno finire la stagione, chance concessa ad Inzaghi con una media punti inferiore (1.37 contro 1.53), con un calendario di qui a fine campionato non irresistibile e la possibilità, in proiezione, di terminare con oltre 30 punti nel solo girone di ritorno, numeri quasi simili al sontuoso percorso di Seedorf con 35.

Insomma, la crisi del Milan sicuramente non parte sicuramente dagli allenatori. La palla passa dunque a Brocchi, con il rischio di ripercorrere le orme di Inzaghi, “bruciato” nel passaggio da Primavera a prima squadra. Sei giornate più la finale di Coppa Italia per dar ragione o meno al Presidente.

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