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“La Serie A e più in generale il calcio italiano sono a rischio default. Questa cosa il Governo e le istituzioni politiche non possono più ignorarla. È un sistema sull’orlo del baratro, che aveva certamente squilibri già prima del Covid, ma che non ha ricevuto praticamente nulla in questi due anni di pandemia. I margini di resistenza si sono assottigliati al minimo“. Queste le dichiarazioni dell’ad dell’Inter, Beppe Marotta che lancia l’allarme per i conti del calcio italiano. “Premesso che la salute dei tifosi ci sta a cuore sopra ogni altra cosa -sottolinea l’ad nerazzurro al ‘Sole 24 Ore’-. È indubbio che con mascherina ffp2, super green pass e la capienza ridotta al 50% gli impianti all’aperto siano spazi sicuri. Aver dovuto ridurre gli ingressi a 5mila spettatori è stata un’ulteriore dimostrazione di serietà e un ulteriore sacrificio per noi. Per questo negli ultimi provvedimenti del Governo come la legge la Bilancio e il decreto Ristori ci saremmo aspettati più considerazione. Chiedere di riaprire gli stadi? Sì, con le misure di contenimento che abbiamo già . Se la Francia si prepara a accogliere il 100% di supporter, come già in Inghilterra, che senso ha per noi restare inchiodati a cifre più basse? A proposito di Francia, il Governo Macron ha concesso aiuti diretti e indiretti al calcio professionistico per un miliardo. Ed ha cancellato 200 milioni di Irpef. Noi facciamo fatica a farci riconoscere una dilazione per tasse e contributi superiore ai 4 mesi”.
Rischio populismo: “Si pensa che il calcio sia ancora il mondo dei presidenti “ricchi-scemi” che buttano via soldi per diletto -prosegue Marotta-. Il nostro mondo fa fatica a farsi riconoscere per quello che è, però come si fa a ignorare il fatto che il calcio professionistico è un comparto industriale come gli altri? Che ha un giro d’affari pre-pandemia di quasi 4 miliardi e ne versa all’Erario ogni anno 1,2? Non sono state concesse neppure misure a costo zero come il ripristino delle sponsorizzazioni del betting, vietate dal Decreto Dignità nel 2019. Infatti. Oltre 100 milioni di contratti volatilizzati. Mentre all’estero e in ambito Uefa giochiamo contro club sponsorizzati da società di quel settore che peraltro produce un giro di puntate da oltre 10 miliardi all’anno su eventi calcistici. Perché non riconoscere a nostro favore una sorta di copyright e un fondo più cospicuo su questo volume d’affari?”.
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Ma Marotta precisa: “Non c’è dubbio che si debba creare un modello più sostenibile, riducendo gli ingaggi -sottolinea Marotta-. Calciatori e sindacati non possono celarsi dietro i contratti principeschi firmati in epoca pre-covid. Ma attenzione ai tagli eccessivi. Non possiamo permetterci di perdere competitività a vantaggio dei tornei stranieri. Sarebbe un circolo vizioso. Semmai dobbiamo far crescere i ricavi. Servono interventi per favorire l’edificazione di nuovi stadi, serve ripensare a un progetto di media company magari in partnership con i fondi, come ha fatto la Liga e stanno valutando altre Leghe, e nuovi format delle competizioni deciso dai club che sopportano il rischio d’impresa e non calati dall’alto da Fifa e Uefa“. Servirebbe insomma una politica per la Football Industry. “Esatto. Ma ora come ora mi accontenterei di un ministro dello Sport che concentri poteri e risorse e possa aiutarci con il dialogo a salvare il calcio e a riformarlo”, conclude l’amminstratore delegato dell’Inter.
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