Gennaio non è più il mese dei rinforzi in Serie A, ma quello dei ripensamenti: il calcio italiano vive di seconde possibilità e di carriere da ricostruire.
Sta per aprirsi il calciomercato di gennaio e il calcio italiano si prepara, ancora una volta, a fare ciò che ormai gli riesce meglio, attendere che altrove qualcuno sbagli. Non costruire, non anticipare, non dettare la linea. Aspettare. Non programmare, non competere. Attendere. E poi raccogliere ciò che resta. Andare a rovistare nei saldi per trovare il giocatore che più si adatti alla tua squadra.
Segui le nostre dirette e i nostri contenuti su Sportface Tv. Per scaricare gratuitamente l’app di Sportface TV, puoi accedere al Play Store per Android e scaricare l’app Sportface. Se hai un dispositivo iOS, puoi scaricare l’app dall’App Store. L’app è disponibile anche per l’uso web tv.sportface.it
La Serie A non è più un mercato, ma una corsia di rientro. Un campionato che vive di seconde possibilità e di carriere da rimettere insieme. Gennaio non è il mese dei rinforzi, ma quello dei ripensamenti. Un po’ come quei regali fatti con entusiasmo, consegnati con un bel fiocco, e poi — qualche mese dopo — riciclati e restituiti perché non servivano davvero.
Il calcio italiano funziona sempre più così: regala giocatori al sistema più ricco, incassa, applaude alla grande operazione finanziaria e poi resta in attesa. Se il regalo non piace, se non trova spazio sotto l’albero della Premier o della Bundesliga, torna indietro. Magari un po’ ammaccato, ma ancora presentabile.
Il copione è noto. Premier League, Bundesliga, Liga: lì si investe, si rischia, si accelera. Qui si osserva. E quando un talento non diventa fenomeno nel tempo stabilito, improvvisamente torna appetibile per l’Italia, che lo accoglie con il solito vocabolario consolatorio: “rilancio”, “centralità”, “ambiente giusto”.
Serie A, il campionato degli “avanzi buoni”
Gli esempi non mancano.
Sandro Tonali, venduto come sacrificio necessario e poi come grande colpo economico, è già circondato da voci di ritorno, come se il calcio italiano fosse una casa da cui si parte ma in cui, prima o poi, si rientra.
Giacomo Raspadori, valorizzato, ceduto, spostato, adattato, è l’emblema di un talento che da noi aveva un’identità e fuori rischia di diventare una funzione secondaria.
E poi c’è Joshua Zirkzee, il caso più emblematico. Venduto benissimo, celebrato come plusvalenza perfetta, simbolo di un sistema che finalmente “sa vendere”. Salvo poi scoprire che nella Premier League, quella che tutto amplifica e tutto accelera, non basta essere bravi: bisogna essere dominanti. E chi non lo è finisce ai margini. A quel punto, ecco riapparire l’ipotesi Serie A, campionato ideale per chi deve ritrovarsi, non per chi deve imporsi.

Niclas Fullkrug (11) of West Ham during the English championship Premier League football match between Everton and West Ham United on 29 September 2025 at Hill Dickinson Stadium in Liverpool, England
Fùllkrug detto anche Buco
C’è poi Fùllkrug, che riassume meglio di ogni trattato la filosofia del nostro mercato. In Premier League non trova più spazio, diventa comprimario, scivola fuori dalle rotazioni, non un granchè neanche prima (ndr). Basta che il suo nome venga accostato alla Serie A perché la narrazione cambi improvvisamente tono, da esubero a “colpo di spessore”, da panchinaro a profilo internazionale, da problema altrui a soluzione nostra. Mentre il paradosso è nell’essere un “buco” che colma i nostri
È un meccanismo ormai rodato; ciò che non serve più altrove, qui diventa culto. Non perché sia cambiato il giocatore, ma perché è cambiato il contesto. La Serie A non lo prende per dominare, ma con la speranza che possa rinascere e lo si celebra ancor prima di averlo visto incidere.
Fullkrug non è un’eccezione. È la regola.
Ed è forse questa la fotografia più onesta del calcio italiano di oggi: un campionato che trasforma i panchinari altrui in colpi di mercato propri.
Serie A, il piano b degli altri
Il punto non è che questi giocatori possano rientrare. Il punto è che il nostro mercato vive ormai sull’ipotesi del rientro. Non siamo più il campionato che costruisce valore, ma quello che lo vende al mondo sperando che, prima o poi, torni indietro.
Gennaio diventa così il mese del riciclo. Niente investimenti, poche idee, tanta attesa. Un calcio che non crea, ma recupera. Che non detta il tempo, ma lo subisce. E che si consola raccontandosi che “in fondo, a noi, questi giocatori servono ancora”. Non si comprano sogni, si gestiscono rimpianti. E mentre gli altri pianificano il futuro, noi restiamo fermi a sperare che qualcuno, da qualche parte, non abbia avuto pazienza.
Ma un campionato che sopravvive solo grazie ai regali riciclati degli altri può davvero pensare di tornare protagonista o ha ormai accettato di essere soltanto il posto dove finiscono quelli che altrove non trovano spazio??
La vera domanda, allora, non è chi arriverà a gennaio. Ma fino a quando il calcio italiano potrà permettersi di esistere solo come il piano B degli altri?









