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NBA 2019/2020: la presentazione del roster dei Golden State Warriors

Stephen Curry, Golden State Warriors 2018-2019 - Foto Profilo FB Golden State Warriors

Quello che si prospetta per i Golden State Warriors è un anno di rinnovamento, tra addii importanti e carne fresca da amalgamare. La scorsa stagione li ha visti imbattersi durante i playoffs in un cammino falcidiato da ripetuti infortuni: il più grave è sicuramente quello che ha eliminato Kevin Durant prima dalla serie coi Rockets, e poi dalla quella con i Raptors, seguito da quello di Klay Thompson (che sarà ai box per buona parte della stagione imminente) da considerarsi la beffa finale. Il percorso di Curry e soci è quindi terminato con la sconfitta alle Finals, cedendo il passo a Toronto per 4-2.

LA PRESENTAZIONE DI TUTTE LE ALTRE SQUADRE

RECORD 2018/2019: 57-25, sconfitti 4-2 alle finali NBA dai Toronto Raptors.

ARRIVI: D’Angelo Russell (sign-and-trade), Willie Cauley-Stein (free agency), Alec Burks (free agency), Jordan Poole (Draft), Omari Spellman (trade).

PARTENZE: Kevin Durant, Andre Iguodala, DeMarcus Cousins, Quinn Cook, Jordan Bell, Shaun Livingston, Alfonzo McKinnie.

PROBABILE QUINTETTO 2019/2020: Curry, Russell, Robinson III, Green, Looney.

PANCHINA 2019/2020: Poole, Evans, Burks, Bowman, Paschall, Spellman, Chriss, Cauley-Stein.

 

Anno di rinnovamento, dunque, con una Western Conference mai come quest’anno così selvaggia: sarà infatti, dal 2015, la prima stagione in cui Golden State non partirà come unica favorita nella corsa al titolo. È evidente che il superteam dell’anno scorso sia ridimensionato dai vari addii. Quello di Kevin Durant su tutti, senza sottovalutare quello di Andre Iguodala, fondamentale metronomo nella gestione dei quintetti di Kerr ai playoffs, e contando anche quelli di DeMarcus Cousins, Quinn Cook, Shaun Livingston (che ha annunciato il ritiro) e Jonas Jerebko. Insomma, il gruppo agli ordini di coach Steve Kerr ha subito un gran cambiamento. Rifirmando Durant, gli Warriors l’hanno potuto scambiare con D’Angelo Russell. Nella prima parte dell’anno, verosimilmente, l’ex play dei Nets partirà in backcourt accanto a Curry, aggiungendo playmaking alla squadra e permettendo al due volte MVP di dilettarsi nel suo eccellente gioco off the ball. Successivamente invece, con il ritorno di Klay Thompson (post All-Star Weekend) è probabile che Russell possa divenire sesto uomo. Il suo ingresso dalla panchina sarebbe comunque fondamentale per offrire un aiuto in cabina di regia e guidare il ritmo delle seconde linee. Fra i lunghi, si ravvisa la firma di Willie Cauley-Stein (annuale da due milioni con player option per il secondo anno), centro che viene da quattro stagioni di alti e bassi a Sacramento, ma in grado di offrire in rapporto ai minuti giocati una discreta rim protection. In generale, il roster degli Warriors è stato rimpinguato dall’inserimento di un mix di giocatori di prospettiva e di qualche rodato cestista: Omari Spellman (ala grande classe ’97 da Atlanta), Glenn Robinson III (ala piccola classe ’94 da Indiana) e Alec Burks (guardia classe ’91 di scuola Jazz) sono tre pedine cruciali per completare le rotazioni, considerando soprattutto la loro dimensione perimetrale. Vanno a completare il nuovo roster Jordan Poole, Alen Smailagic e Eric Paschall, tutti provenienti dallo scorso Draft.

Stephen Curry e Draymond Green sono senza ombra di dubbio i pezzi più importanti del roster in assenza di Klay Thompson e la tentazione potrebbe essere quella di utilizzarli in modo massiccio per cercare di arrivare a metà stagione con il maggior bottino di vittorie possibile. La scorsa stagione Curry ha giocato una media di 33.8 minuti (69 partite), mentre Green si è attestato poco sotto, a 31.3 minuti (66 partite): realisticamente entrambi vedranno aumentare il proprio minutaggio, ma meno di quanto si potrebbe pensare. Steve Kerr, infatti, ad inizio agosto aveva già messo le cose in chiaro: “E’ difficile dirlo senza che nessuno abbia ancora messo in piede in campo, ma so per certo che non li farò giocare 40 minuti a sera“. Inoltre, è assolutamente logico evitare l’azzardo di sovraccaricare i due, peraltro già reduci da cinque gite consecutive alle Finals, con il rischio di farli arrivare stremati a fine regular season e di renderli più vulnerabili agli infortuni. La parola d’ordine non può che essere “load management”.

Marzo 2020, Klay Thompson è tornato dall’infortunio e coach Kerr si appresta a decidere quale sia la soluzione volta a massimizzare il rendimento della squadra. L’11 giocherà da 2 o da 3? A questa domanda ovviamente non c’è una risposta immediata e tutto dipenderà dai cinque mesi precedenti, in cui qualcun altro dovrà ricoprire il ruolo di ala piccola titolare. I nomi che si contenderanno l’invidiabile ruolo di (non) far rimpiangere KD sono due: Glenn Robinson III e Alec Burks. Tecnicamente quest’ultimo, sebbene sia il più esperto e il più efficiente dei tre, è il meno quotato: probabilmente sarà chiamato a dare il cambio a Curry e Russell. L’altro non spicca per tiro dall’arco, efficienza offensiva, prestazioni difensive e doti di playmaking. Un altro punto fondamentale per i Dubs sarà capire come comportarsi con D-Lo. Le ipotesi per questa stagione sono solo due: tenerlo fino alla fine e poi valutare altre mosse d’estate, oppure tentare di scambiarlo in inverno. Riguardo il secondo scenario, non sono poche le voci che vedrebbero Russell già con un piede fuori dalla Baia, e alcuni azzardano i nomi dei possibili sostituti: da Robert Covington ad Aaron Gordon, passando per un ritorno a casa di Harrison Barnes. Il GM Bob Myers è stato però molto chiaro fin dall’inizio sull’argomento. È vero che verba volant, ma le alternative potrebbero non rivelarsi migliori della situazione attuale, soprattutto se Russell si dovesse integrare a dovere nel meccanismo di Golden State: bisognerà quindi aspettare il responso del campo.

Ci sono sicuramente un paio di situazioni interessanti da monitorare, come l’integrazione di D-Lo nel sistema offensivo. L’attacco Warriors si piazza da anni sul fondo della classifica per quanto riguarda l’utilizzo del pick and roll, in quanto la fase offensiva è basata sul concetto diametralmente opposto di motion e playmaking diffuso. In parole povere: non c’è un vero e proprio playmaker e tutti i giocatori in campo sono costantemente in movimento. Dire che il P&R sia la soluzione preferita di D-Lo, invece, è quasi riduttivo. Lo scorso anno l’ha giocato 920 volte (secondo solo a Walker, 971), praticamente come tutti i giocatori di Golden State messi insieme (995). L’integrazione dei due stili di gioco potrebbe non essere così proibitiva come sembra: quando l’attacco motion fatica ad ingranare infatti, soprattutto in contesti come i playoff dove le difese sono più attente, ricorrere a soluzioni del genere potrebbe sbloccare la situazione e togliere punti di riferimento agli avversari. Russell porta con sé anche delle buone qualità di passatore, di cui beneficeranno su tutti Cauley-Stein e Looney, che non hanno praticamente mai avuto occasione di giocare con un playmaker di questo livello in questo fondamentale. Klay (quando rientrerà dall’infortunio) e Steph, invece, potranno permettersi il lusso di continuare a giocare off-ball, sicuri che il passaggio arriverà al momento giusto. Steve Kerr dovrà sicuramente inventarsi qualcosa in difesa, ma nella metà campo offensiva non abbiamo particolari dubbi sul successo della convivenza Russell-Warriors.

In secondo luogo, bisogna tenere d’occhio la crescita dei giovani, in fattispecie Jacob Evans (28° scelta al Draft 2018), il quale si è dimostrato ancora troppo acerbo per poter dare un reale contributo. La sua fiducia in campo è comunque migliorata da quanto è stato spostato al ruolo di PG, dove è diventato sempre più convincente, soprattutto nella Summer League appena conclusa. Il suo ruolo nei Warriors potrebbe essere addirittura quello di gestire la second-unit stando alle parole di Kerr: “Lo vediamo come una point guard ora che lo conosciamo da un anno. Giocherà in quel ruolo in Summer League. So che sia Andre [Iguodala] che Shaun [Livingston] lo apprezzano molto. Ne ho parlato con loro e apprezzano il fatto che riesca a fare le giocate giuste e a vedere il gioco nel modo corretto, oltre ad essere robusto e forte. Ovviamente non è un grande tiratore, ma non sempre è necessario esserlo per stare nella lega. Daremo a Jacob tutte le opportunità che possiamo per gestire la palla il prossimo anno, entrare e garantirci alcuni minuti di qualità. Dopo dipenderà solo da lui”. Il coach dei Dubs spera quindi vivamente in una maturazione di Evans, abbinata magari ad un contributo a sorpresa di una delle scelte all’ultimo Draft (Jordan Poole 28° scelta, Alen Smailagic 39° scelta, Eric Paschall 41° scelta) e di Omari Spellman (arrivato via trade dagli Atlanta Hawks in cambio di Damian Jones).

Sarà importante non solo dare continuità alla scioltezza offensiva, creando un veloce giro palla e sfruttando alla perfezione il gioco dei blocchi on e off the ball, ma trovare anche il giusto equilibrio difensivo, coprendo il più possibile le singole lacune difensive con la compattezza di squadra. Un altro aspetto che sicuramente dovrà essere collaudato in maniera impeccabile è la panchina: con meno qualità ed esperienza a propria disposizione infatti, sarà fondamentale trovare i giusti accoppiamenti e creare un gioco che faccia leva su un ottimo gioco di squadra volto ad esaltare le capacità di ogni singolo elemento. Infine, bisognerà vedere il rendimento di Curry, Russell e Thompson. Il 30, chiamato ad un maggiore impiego, dovrà assolutamente garantire una regular season di alto livello; un Curry in grande stato di forma fa tutta la differenza per la squadra, essendo in grado di migliorare anche le prestazioni dei propri compagni. Il compito dell’11 invece dipenderà dalla situazione in cui si troveranno i Dubs al suo rientro. Se Golden State sarà riuscita a disputare una buona prima metà di stagione, Thompson non avrà grandi pressioni; al contrario, se gli Warriors dovessero essere in difficoltà, Klay dovrà fin da subito mettere in piedi delle ottime prestazioni.

Per valutare i Dubs bisognerà prendere come punto di riferimento il numero di vittorie. Dal nostro punto di vista, la soglia minima a cui dovrebbero ambire Curry e soci è quella delle 45 W. In una Western Conference ultracompetitiva, gli Warriors dovranno fare molta attenzione al proprio piazzamento finale. Nel migliore dei casi, se si venisse a creare un’ottima chimica di squadra, D-Lo si integrasse alla perfezione, la panchina e i giovani rendessero in maniera positiva, e Thompson rientrasse in un gran stato di forma, la truppa ai comandi di Steve Kerr potrebbe ambire al quarto posto. Se invece anche solo uno dei fattori precedentemente elencati dovesse venire meno, la franchigia di San Francisco dovrebbe accontentarsi di uno degli ultimi posti per i playoff, probabilmente il sesto o il settimo, rischiando di finire subito contro Lakers o Clippers. In ogni caso comunque, strani avvenimenti a parte, la partecipazione ai PO non dovrebbe assolutamente essere in discussione.

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