“Mamba” italiano. A fare da sfondo ai primi canestri di Kobe Bryant non c’è la collina di Hollywood ma il monte Terminillo. A tenerlo a battesimo sul parquet non è né Los Angeles, la città in cui ha vinto 5 titoli NBA con la canotta dei Lakers, né Philadelphia, il posto in cui è nato, ma Rieti. Glamour sabino: salsicce e fantasia. Quella di “Black Mamba” è una storia molto italiana.
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Ora che la sua avventura nella pallacanestro sta per essere consegnata definitivamente alla leggenda è il caso di tornare dove tutto iniziò. Aveva sei anni, suo padre, il mitico Joe Bryant, detto Jellybean, furoreggiava con la Sebastiani e Kobe iniziava a muovere i primi passi sotto canestro sul campetto della parrocchia. Quello che sarebbe diventato il campione più popolare del basket americano nell’era post Jordan ha vissuto nel nostro Paese sette anni, dal 1984 al 1991.
Tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, ha imparato i fondamentali del Gioco e dell’italian way of life. Ha imparato a palleggiare anche con la mano sinistra e ad apprezzare la scuola cestistica europea. Ha ammirato il brasiliano ex Caserta Oscar Schmidt e sognato sulle note di “Bad”. Grazie a Michael Jackson ha capito come si diventa fuoriclasse: passione, lavoro duro, ricerca della perfezione. C’è chi lo ama alla follia e c’è chi lo detesta per la sua arroganza agonistica ma nessuno gli toglierà i balli che ha ballato sul parquet e perfino su un palcoscenico col rapper Mc Hammer, come ricorda il giornalista Andrea Barocci nel suo libro “Un italiano di nome Kobe”.
Prima del Triangolo, lo schema offensivo di Phil Jackson, Kobe è rimasto estasiato dal Milan di Sacchi e ha interiorizzato le quattro f che definiscono il made in Italy. Food, football, fashion and Ferrari (che fa parte del suo parco-macchine).
“Sono cresciuto in Italia, un posto che sarà sempre vicino al mio cuore”, ha detto qualche anno fa in una intervista a Radio Deejay. La più italiana delle stelle NBA non ha reciso il cordone ombelicale con la sua seconda patria: ha chiamato le sue figlie Natalia Diamante e Gianna Maria Onore. Nel bel mezzo di una finale NBA si è messo a parlare con il compagno di squadra Sasha Vujacic (che aveva giocato tre anni a Udine) nella lingua di padre Dante: “Devi segnare, cazzo”.
Alla vigilia dell’ultima partita con Utah, Sky si prepara a ripercorrere le tappe più significative della sua carriera in una maratona di 24 ore. Nel mondo dello sport è iniziata la corsa all’omaggio. Federer lo ha celebrato con una scritta sulle scarpe, Florenzi con un tatuaggio mentre Del Piero lo eleva a “fonte di ispirazione“. Tutti si chiedono cosa farà Kobe nella sua nuova vita. Al ct dell’Italbasket Ettore Messina, che gli ha inviato una canotta azzurra, il cestista dei Lakers ha risposto: “Sono a sua disposizione per qualsiasi cosa“. Ipotesi, congetture. A “Basket room” su Sky Sport, Flavio Tranquillo l’ha buttata lì: “Non so cosa farà ma non mi stupirei di vederlo da questa parte dell’oceano, magari nel nostro Paese”. La sua seconda patria, il suo primo playground con vista sulla leggenda. E il monte Terminillo sempre là, sullo sfondo.