Editoriali

Tennis, Pablo Cuevas: la seconda carriera del “tennista dal Rio Uruguay”

Pablo Cuevas - Foto Carine06 - CC BY-SA 2.0

Scorrendo la classifica Atp di questa settimana fino alla 25^ posizione, troviamo Pablo Cuevas, che a 30 anni sta vivendo il periodo più alto della sua carriera da professionista, una carriera che sembrava potesse spegnersi solo poco tempo fa. Ora, mantiene aperta una striscia di 9 vittorie consecutive, che lo hanno portato a trionfare nei due tornei brasiliani del circuito: prima l‘Atp 500 di Rio de Janeiro, dove ha sconfitto Rafael Nadal in semifinale dopo una battaglia di 3 ore e mezza, poi il 250 di San Paolo. Il tutto nell’arco di due settimane. Vincere due tornei consecutivamente è cosa rara nel tennis iper-muscolare di oggi (tra i non-fenomeni non capita quasi mai), ma Pablo non è nuovo a questo tipo di impresa, anzi, si può dire che sia diventata una sua specialità. Nel 2014 ha vinto infatti i suoi primi titoli Atp alla stessa maniera, trionfando prima a Bastad e poi a Umago, dove era partito addirittura dalle qualificazioni. A conclusione di quella magica stagione, si è ripetuto a livello challenger, conquistando i tornei di Guayaquil e Montevideo. In meno di due anni ha messo in bacheca cinque titoli del circuito maggiore – oltre a quelli citati si è imposto l’anno scorso sempre sulla terra rossa di San Paolo – e tutto fa pensare che se manterrà questo livello di forma, avrà modo di riempirla ancora.

Ma oltre al lato prettamente sportivo, Pablo Gabriel Cuevas ha una di quelle storie del tennis professionistico che meritano davvero di essere raccontate. Credo non ci sia modo migliore per caratterizzarla, di chiamarla “storia di confine”. Se sei figlio di Gabriel, argentino, e Lucila, uruguaiana, una storia di confine importante ti scorre fin dalla nascita nelle vene. A renderla ancora più speciale, c’è che le città natale dei genitori si trovino esattamente a ridosso del confine tra i due paesi, una di fronte all’altra, separate soltanto dai 4 km d’acqua del Rio Uruguay, il grande fiume che nasce in Brasile e sfocia nel famoso Rio de la Plata.  La città del padre, dove lo stesso Pablo è nato, si chiama Concordia, ed è sulla sponda ovest del fiume. A guardarla, dall’altra parte del Rio, c’è Salto, seconda città per abitanti dell’Uruguay, di cui è originaria la madre e dove Pablo ha iniziato da bambino a giocare a tennis. Per non far mancare nulla alla sua carta d’identità border-line, Cuevas è nato il primo giorno dell’anno 1986!

La sua infanzia è stata un avanti-indietro tra le città dei genitori: a undici anni viveva e frequentava la scuola a Concordia, ma ogni pomeriggio attraversava il fiume col suo kayak per 35 minuti, per raggiungere il circolo di Salto dove si allenava, e neanche la pioggia poteva fermarlo. Eccelleva anche in canottaggio e nuoto, ma alla fine scelse il tennis, stimolato dalle gesta dei suoi connazionali argentini Gaston Gaudio e Guillermo Coria, e quando capì che con la racchetta avrebbe potuto anche guadagnarsi da vivere, fece la scelta, appoggiata dai genitori, di provare con tutte le forze a diventare un professionista.

Ha la doppia cittadinanza fin da piccolo, ma si è sempre sentito più uruguagio, anche perché, come detto, tennisticamente è nato dall’altra parte del fiume. Appena ha dovuto scegliere, ha deciso senza remore di rappresentare la “celeste” in coppa Davis, in cui ha esordito nel 2004 contro Haiti, momento che per lui rimane ancora oggi uno dei più emozionanti e importanti della carriera. Attualmente può vantare nella competizione a squadre un record notevole di 20-6 nel singolare.

Tornando al “confine”, manca un pezzo della storia, quello più rilevante ai fini della carriera di Cuevas, perché questa parola ha assunto toni molto meno piacevoli tra il 2011 e il 2013, quando il confine per lui più importante è diventato quello enorme, ma sottile al tempo stesso, tra poter continuare a fare il tennista ai massimi livelli, e dover rinunciare a questo sogno. Questo a causa di un’osteocondrosi, patologia ossea degenerativa, che affliggeva il suo ginocchio destro e lo ha costretto ad un intervento chirurgico proprio quando la sua carriera sembrava decollare. Dopo aver saltato la seconda parte di stagione 2011, quando il peggio sembrava passato, l’atteso ritorno agli allenamenti si è trasformato da luce in fondo al tunnel nell’ incubo di ogni atleta sulla via della riabilitazione, quello della ricaduta. Nel 2012 si è dovuto sottoporre a un nuovo intervento, che ha allungato di ulteriori 11 mesi la sua lontananza dai campi e gli ha impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra. E’ proprio in questo periodo che il confine tra l’essere e non essere un tennista professionista è diventato per lui molto labile, perché se neanche i medici sapevano dargli certezze riguardo la prognosi, una lontananza di più di un anno dal professionismo non può dare alcuna garanzia di tornare ad essere l’atleta che si era, troppe sono le incognite. La fiducia di poterlo fare, però, Pablo l’ha sempre avuta, e sicuramente la “garra”, tipica dei cittadini della piccola ma fiera nazione che rappresenta, accompagnata dall’intelligenza che in campo ha sempre dimostrato, hanno contribuito a formare la sua determinazione e pazienza. Alla fine, ha avuto ragione lui. Come gli appassionati stanno vedendo, dopo 22 mesi di stop, non solo è tornato in breve ai livelli pre-infortunio, ma è diventato un giocatore più completo e maturo, che ha portato a migliore espressione quelli che già erano i suoi punti di forza: regolarità tipica del terraiolo, abbinata però a una varietà di colpi rara tra gli specialisti di questa superficie; ottima tenuta atletica e reattività negli spostamenti, e soprattutto una grande attitudine ad interpretare le partite e affrontarle con la giusta mentalità. Non a caso, l’uruguagio è anche un ottimo doppista, tanto da vincere nel 2008 il Roland Garros, in coppia con Luis Horna. A questo punto, viene spontaneo dedurre che questa sua lunga assenza possa paradossalmente avergli apportato dei benefici, che altrimenti non avrebbe avuto. Lui stesso ha ammesso, in un’intervista sul sito messicano El Diario.mx: “anche se non è stato bello stare fuori due anni, ho imparato molto, ho cambiato maniera di vedere le cose. Per ottenere qualcosa prima la devi sognare. E io l’ho fatto”. In quel periodo, dice lo abbia aiutato leggere le biografie di grandi sportivi; Michael Jordan, Phil Jackson, Rafa Nadal, per capire come loro abbiano affrontato le rispettive difficoltà. Oltre a questo, l’aver messo le basi per una sua famiglia, gli ha dato una serenità nuova. Possiamo dunque annoverare il nativo di Concordia tra i casi di giocatori che, dopo lunghi stop forzati, tornano alle competizioni rivelandosi atleti migliori, mentalmente più pronti alla vittoria (un altro caso recente può essere quello di Viktor Troicki, che, seppur sia stato lontano dai campi per meno tempo e per via di una squalifica, ha vinto i suoi primi tornei ATP solo dopo il rientro).

Quella del 2015 è stata la miglior stagione in termini numerici per l’uruguagio; 29 partite vinte e best-ranking al numero 21. Ha anche perso l’unica finale Atp tra le sei, quella giocata alla pari con un certo Roger Federer, nel torneo 250 di Istanbul. Ora, Cuevas sta mettendo solide basi per un’annata ancor migliore. Nella classifica race, quella che tiene in considerazione i punti guadagnati nell’anno solare, solo sei giocatori hanno fatto meglio di lui!

Ci avviciniamo alla stagione europea su terra rossa, e considerato anche che i punti da difendere nei masters sono esigui, una cosa è certa: a questo punto della sua bella storia, l’ambito confine con i migliori 20 giocatori del mondo sembra più che mai superabile…

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