In occasione della prima edizione dei Giochi Europei, una specie di Olimpiade riservata al Vecchio Continente svoltasi nel giugno 2015 a Baku, capitale dell’Azerbaigian, l’Agenzia Mondiale Anti-Doping trovò quasi cinquecento sportivi che risultarono positivi al medesimo farmaco cardiologico. Il tutto ben sei mesi prima che entrasse nella lista nera della Wada e sette mesi prima quel fatidico 26 gennaio costato tanto caro a Maria Sharapova. Lo si legge in un articolo pubblicato oggi sull’ultimo numero del quindicinale specializzato British Journal of Sports Medicine. Secondo l’autorevole rivista scientifica, gli episodi accertati riguardarono almeno 490 concorrenti, 13 dei quali andati a medaglia, in una quindicina di discipline su un totale di oltre venti. Le relative indagini furono condotte sotto la tutela dei Comitati Olimpici Europei, promotori dell’evento, e in collaborazione proprio con la Wada. I risultati si basarono su una serie di test, sulle osservazioni dei medici ma in molti casi anche sulle ammissioni degli stessi atleti coinvolti. E furono determinanti nel portare infine al divieto del Meldonium. E’ altrettanto vero che all’epoca della grande manifestazione azera la sostanza non era ancora stata colpita dal bando che sarebbe entrato in vigore soltanto il 1 gennaio 2016, e che fu si’ annunciato con largo ma anticipo, ma comunque nel settembre successivo, cioè a Giochi conclusi. Tuttavia gia’ da tempo si sapeva che la Wada teneva il Meldonium sotto osservazione e che il suo uso aveva attirato l’attenzione degli esperti persino prima, per lo meno dall’aprile dell’anno scorso. Del resto il principio attivo, in origine sintetizzato in Lettonia per contrastare l’ischemia ma del quale sono in seguito emerse anche le proprietà stimolanti e anti-fatica non ha mai ottenuto l’approvazione della Fda (l’agenzia di controllo su alimenti e medicinali) dell’amministrazione Usa, dove in pratica non si può acquistare legalmente per alcun motivo. Chi lo assunse in vista di Baku, o comunque chi aveva il dovere di vigilare, non poteva dunque non saperlo. Neppure se, come la tennista russa sostiene adesso sia il suo caso, non ci si teneva aggiornati sull’elenco dei prodotti proibiti.