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La legge del pendolo si palesò in Sicilia, in un caldo pomeriggio del maggio 2011. Oscillava a destra e a sinistra Alberto Contador, con l’aria del pistolero che tutto controlla e sorveglia quando la terra è arida e la polvere è tanta. Lo scatto secco sull’Etna, il povero José Ruano che cerca di resistergli, l’artiglio che graffia il traguardo, tra le bandiere della Trinacria, sul Vulcano che quel giorno attese in silenzio. Il grande miraggio del corridore spagnolo.
Fu pendolo non solo nel modo di stare in bicicletta, ma anche nelle alterne vicende che quella corsa regalò al mondo del ciclismo. Vittoria e sconfitta, maglia indossata e poi tolta, braccia alzate e poi portate agli occhi a certificare il rammarico. Contador vinse e non vinse sull’Etna. Vinse, perché fu lui a tagliare il traguardo per primo, inedito assoluto per uno che era stato in grado di portare a casa il Giro del 2008 senza, però, assaporare mai il successo di tappa. Non vinse, perché quello stesso successo, quella stessa impresa, fu cancellata da un Tribunale dello Sport otto mesi dopo, emettendo una sentenza con effetto retroattivo. L’ombra del doping sullo spagnolo, in una vicenda mai del tutto chiarita: colpa, forse, di una bistecca di carne contenente clenbuterolo, di un cuoco distratto e di un mondo del ciclismo che, in quegli anni, stava portando avanti un vero e proprio rastrellamento.
La strega Contador sacrificata sul rogo dell’Etna. Il Vulcano, che aveva visto con i suoi occhi trionfare il corridore dell’allora Saxo Bank, ritrovò iscritto sulle pietre della memoria il nome del colombiano Ruano, ultimo ad arrendersi a chi – quell’anno – sembrava imbattibile. La squalifica di Contador permise anche a Vincenzo Nibali di salire sul terzo gradino del podio nella tappa siciliana del Giro d’Italia 2011. Nella sua terra sbocciò, definitivo, il talento dello Squalo di Messina che in altre parti del mondo era solo stato annunciato.
La storia dell’Etna e del Giro d’Italia, comunque, affonda le sue radici molto più lontano nel tempo. Nel 1967, l’altro traguardo finale. In quella circostanza vinse Franco Bitossi, chiamato “cuore matto” a causa di quegli improvvisi attacchi di tachicardia che, molto spesso, lo costringevano a fermarsi in corsa.
Per domare questa montagna che segnerà inevitabilmente la quarta tappa dell’edizione del Giro 100, ci vorranno entrambe le cose, cuore e follia. La pendenza (6% di media, senza picchi particolarmente elevati) è relativamente facile: molto dipenderà dal ritmo con cui verrà affrontata la salita precedente – la Portella, collocata a 90 chilometri dall’arrivo – e dal caldo. Fuoco sotto e fuoco sopra. La corsa, che sarà iniziata da tre giorni, potrebbe già esplodere.