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Bologna-Mihajlovic, finisce una favola andata oltre il campo: dalla malattia all’esonero

Sinisa Mihajlovic
Sinisa Mihajlovic - Foto LiveMedia/Gianluca Ricci

Game over a Bologna. Sinisa Mihajlovic non è più l’allenatore dei felsinei, e non si tratta di un esonero come gli altri. La rottura del rapporto lavorativo tra i rossoblu e il tecnico serbo, ma non di certo tra quest’ultimo e la città e l’ambiente, potrebbe quasi essere la naturale conseguenza di anni positivi ma senza sussulti, vissuti anzi con preoccupazioni che non sono state legate al campo ma alle condizioni di salute dell’ex giocatore di Lazio e Inter, che è stato supportato e aspettato nel momento in cui un’altra società avrebbe probabilmente preferito cambiare guida tecnica per non complicare ulteriormente le cose. Ma il lottatore Sinisa ha sconfitto per due volte la leucemia, è tornato come un leone in panchina, ha ottenuto discreti risultati con una squadra che, in questi anni, non ha mai rischiato di retrocedere e al contempo non è mai stata realmente vicina alla possibilità di lottare per l’Europa.

Una terra di mezzo costante, e un avvio di campionato non buono con tre pareggi e due sconfitte hanno portato alla scelta, forse avventata, forse in ritardo, forse al momento giusto, di Joey Saputo, che decide di rischiare e di cambiare. Perché con Mihajlovic, la certezza di un campionato tranquillo era in tasca, visto che questa squadra, che negli anni è cambiata poco, fin dal 2019 aveva trovato il proprio equilibrio. Sono mancate le vittorie con le big, è mancato forse un po’ di entusiasmo. Come quei rapporti che durano da tanto, in cui ci si trova bene ma senza le emozioni che tengono vivo e rinnovano il tutto.

E dire che il destino aveva provato a scherzare con Miha, ponendogli davanti non la sfida di portare nel lato sinistro della classifica il Bologna, ma di dover staccare col mondo del calcio e curarsi da una leucemia. Ne è uscito fuori alla grande, nel frattempo i suoi vice non lo hanno fatto rimpiangere. E lui è tornato il prima possibile da una panchina che, dopo varie peripezie altrove, non avrebbe mai voluto lasciare. Alla quale invece, ora, deve dire addio dopo 1.317 giorni fatti di paura, forza certezze e qualche delusione, le cure pesanti e la voglia di non mollare. E Bologna non scorderà mai quell’allenatore che aveva esordito nel 2008 proprio sulla panchina rossoblu e che era tornato dieci anni dopo con un bagaglio di esperienze diverse. Bagaglio che, ora, andrà altrove.

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