Amarcord

L’angolo del ricordo: Budapest, punto di svolta differente per Cecchinato e Berrettini

Matteo Berrettini - Foto Ray Giubilo

Il torneo Atp di Budapest ha rappresentato un punto di svolta per il movimento italiano, in rapida ed esponenziale crescita negli ultimi tempi. I trionfi in rapida successione di Marco Cecchinato e Matteo Berrettini, fra il 2018 ed il 2019, hanno proposto nuove consapevolezze agli atleti italiani tutti, generando una sana competizione che ha portato i suoi frutti e tanti exploit personali dei vari interpreti azzurri. Le caratteristiche dei due protagonisti menzionati sono profondamente differenti, in quanto Cecchinato è un giocatore prevalentemente da terra rossa, possiede un’ottima manualità e fa del suo punto forte una pungente intelligenza tattica. Berrettini è invece la meravigliosa realizzazione del tennista moderno, potente, concreto, dal servizio devastante e pragmatico con alcuni colpi predefiniti.

Cecchinato vinse Budapest da assoluto outsider, addirittura da lucky loser, superando  avversari temibili come Dzumhur, Struff, Seppi, Millman e segnando l’inizio di un percorso che porterà ad un ulteriore risultato meraviglioso al Roland Garros. Berrettini sconfisse Bedene, Cuevas, Djere e Krajinovic prima di ottenere la corona ungherese, palesando margini di crescita fuori dal comune, che si tramuteranno nello splendido obiettivo raggiungo chiamato Atp Finals 2019. I percorsi dei due italiani in Ungheria sono stati accomunati dalla verve palesata in campo, ma sarebbe incoerente non giudicarli anche diversi per i risvolti delle rispettive carriere. Cecchinato è in possesso di un talento sconfinato: giocatore elegantissimo, capace di colpi sensazionali e soprattutto imprevedibili, grazie a trovate in drop shot che sarebbero impensabili per altri professionisti. Berrettini è però più difficile da affrontare, in quanto la sua prima di servizio è degna delle prime dieci posizioni al mondo, così come il suo dritto straripante. Il punto debole dei due tennisti è il medesimo, sempre campanello d’allarme o delizia delle loro prestazioni: quando il rovescio non va, la situazione diventa davvero spinosa, seppur l’atleta romano esegua un super dritto a sventaglio.

L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di che cosa ha realmente vissuto e ne capisce il senso“. Le parole del ceco Milan Kundera esplicano alla perfezione cosa ha prodotto il successo di Budapest per Cecchinato e Berrettini. Il siciliano si è voltato per aggraziarsi dei suoi risultati, per farne un fragile punto di riferimento per un futuro quantomai incerto, forse adagiandosi su di essi e sprofondando in un periodo cupo. Il romano, trionfante, ha considerato le innumerevoli varianti della sua carriera dopo quel successo, ha lottato, si è superato, è andato oltre le sue aspettative, senza mai più volgere il suo sguardo a ritroso.

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