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NBA, Paul George e la gioia del rientro: “Finalmente l’All Star Game”

Paul George - Indiana Pacers - Official Facebook Page

Tornare a giocare un All Star Game è la cosa che mi emoziona di più”. Dopo il devastante infortunio dell’estate del 2014, Paul George è tornato a essere il trascinatore degli Indiana Pacers. La frattura di tibia e perone patita durante uno scrimmage con Team USA gli era costata il Mondiale, dopo quasi un anno di stop l’ala di Palmdale si è ripresentata sul parquet e ha ricevuto il riconoscimento più grande per un giocatore: quello dei tifosi. Le votazioni per l’All Star Game del 14 febbraio lo hanno lanciato nel quintetto della Eastern Conference in vista del weekend delle stelle di Toronto, insieme a Carmelo Anthony, LeBron James, Kyle Lowry e Dwyane Wade. “Vorrò dare il massimo e giocare la mia pallacanestro migliore – rivela George in una ‘media call’ riservata alla stampa internazionale – e non vedo l’ora di assaporare quel momento. Potrò stare con gli altri campioni e giocare davanti alla folla di Toronto, è una sensazione bellissima”. Quella del ritorno in campo, per George, è stata un’annata decisiva: Indiana sta cambiando pelle e il campione si è dovuto adattare, iniziando a giocare stabilmente da ala grande. “Questo cambiamento mi ha permesso di diventare un giocatore più completo ma non riguarda solo noi, l’intera NBA sta andando verso una nuova direzione. Ci sono sempre più lunghi con qualità tecniche da guardie, il gioco si allontana gradualmente dal canestro: si va con quattro piccoli e un lungo”. Nonostante un infortunio che ha fatto il giro del mondo, l’ala dei Pacers non ha mai perso l’ottimismo. “Mi aspettavo molto da me stesso, sapevo di poter tornare in alto e riuscivo a immaginare come sarei stato al mio rientro. Ho cercato di non rivedere le immagini del mio infortunio, ero concentrato solo sul ritorno”. Indiana occupa al momento la settima posizione nella Eastern Conference: “Abbiamo perso moltissime partite tirate – ammette George – ma non siamo una cattiva squadra: giocare punto a punto con tutti, in una conference così competitiva, vuol dire molto. Stiamo migliorando sotto il profilo della chimica di squadra e dell’esperienza, sono convinto che a fine stagione saremo felici e soddisfatti. Ma non voglio sentire il mio nome in discorsi legati all’MVP: devo permettere alla franchigia di vincere più partite nei minuti finali, cosa che in questo momento non sto facendo”. Quel che è certo è che il suo nome è nell’elenco dei 30 “finalisti” che si giocheranno una maglia di Team USA per i Giochi di Rio. Per chi si è visto sfuggire di mano un Mondiale, essere all’Olimpiade sarebbe un sogno.

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