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Running, Fabrizio Stevanato: “La mia Venicemarathon, una gioia dal primo all’ultimo metro”

Fabrizio Stevanato

“Me la sono proprio goduta tutta, dall’inizio alla fine”. Sono passate ormai 48 ore da quando ha tagliato il traguardo della trentatreesima Venicemarathon, ma dalla voce di Fabrizio Stevanato, podista veneto 44enne, che nell’aprile 2017 è stato operato con successo per l’asportazione di un tumore al pancreas, traspare ancora l’emozione e la felicità per aver portato a termine la sua impresa.

Fabrizio come stai?
“Bene, ho ancora i polpacci un po’ indolenziti, ma tutto sommato riesco a deambulare con facilità (ride, ndr). Domenica è stata veramente una giornata speciale, indimenticabile direi”.

E pensare che non era certo comunicata sotto i migliori auspici visto il meteo caratterizzato da pioggia vento ed acqua alta. Eri preoccupato prima di partire?
“Certo il meteo non era favorevole, però posso dire in tutta franchezza di essermi trovato di recente in condizioni peggiori (ride, nrd). Non potevano certo essere le condizioni climatiche a fermarmi”.

Raccontaci.
“Devo prima di tutto ringraziare l’organizzazione della Venicemarathon, che mi ha assistito in maniera incredibile, dalla partenza a Stra, fino all’arrivo. Mi è persino stato concesso di partire con pettorale personalizzato di fianco ai top runner. Una cosa incredibile, penso che neanche in motorino riuscirei a tenere il passo di atleti del genere”.

La tua gara come si è sviluppata?
“Sono partito molto sereno, tranquillo. Erano con me il Dr. Giuseppe Malleo, il chirurgo che mi ha operato, insieme alla Dr.ssa Elisabetta Sereni. Grazie ad un pass messo loro a disposizione dagli organizzatori, mi hanno accompagnato in bicicletta. Al traguardo mi attendevano invece la preparatrice atletica Angelica Pezzato, La Dr.ssa Erika Bruggini, medico sportivo e la Dr.ssa Marzia Sarto, psicologa. Proprio grazie all’aiuto di Marzia, avevamo preparato una tattica che prevedeva di far lavorare la mente a step di 5 chilometri. Ad ogni blocco di 5km avrei dovuto pensare ad un aspetto positivo che mi avrebbe accompagnato nei 5 successivi”.

Avevi anche un obiettivo cronometrico?
“Certamente. L’idea era quella di chiuderla in 4h30’. Come ti ho detto sono partito sereno, soltanto intorno al 15°km ho avuto un piccolo problemino al polpaccio, un crampo, niente di grave. Subito mi sono un po’ spaventato, ma poi come è arrivato, se ne è andato. Il passaggio alla mezza maratona era leggermente sopra media, ma sono pian piano riuscito a recuperare, tanto che all’uscita del Parco di San Giuliano, intorno al 33°km, ero ancora convinto di poter centrare il crono prefissato. Poi però è arrivato il Ponte della Libertà”.

Come è andata sul ponte?
“Lì le condizioni meteo hanno cominciato a farsi realmente proibitive, con un vento contrario assurdo. Pensa che Giuseppe ed Elisabetta facevano fatica a rimanere in equilibrio sulla bicicletta”.

E’ vera la storia che si tratti del punto più duro della Venicemarathon e che si possano vedere scene, sportivamente, apocalittiche?
“Posso dirti che ho visto gente distesa in terra in preda ai crampi, gente ferma ai bordi della strada con problemi di stomaco. Ho visto poche persone correre, molti camminavano”.

E tu? Non hai risentito di quella situazione avversa?
“Io mi sono gasato, quel vento contrario mi ha come esaltato. Ho fatto fatica, ho dovuto per forza rallentare il ritmo, ma non ho mai smesso di correre. Ieri ho guardato i dati, in quel tratto di percorso ho guadagnato oltre 80 posizioni. Al termine del ponte ero veramente determinato: avevo 10 minuti di ritardo sulla tabella di marcia ma ero convinto di potercela ancora fare”:

Veramente?
Sì, giuro. A San Basilio, appena avvistato l’ultimo ristoro, tra me ho detto “ora bevo qualcosa e poi accelero fino al traguardo”. Ci ho anche provato, peccato che dopo il primo ponte ci siamo ritrovati con l’acqua alle ginocchia (ride, ndr)”.

Eh si, l’acqua alta. Ci sei rimasto male?
“Ma no, figurati. L’obiettivo cronometrico era importante, ma l’obiettivo vero era un altro, arrivare alla fine. Quando mi sono ritrovato nell’ingorgo dell’acqua alta, l’ho presa sul ridere, è stata una festa totale. Ho camminato a fatica per oltre 2km poi, a 500-600 metri dal traguardo, quando l’acqua dava meno fastidio, ho ripreso a correre”.

Finalmente il traguardo.
“Sì, finalmente. Grazie agli organizzatori, mio figlio Tiberio è stato fatto entrare sul percorso a pochi metri dall’arrivo, per cui abbiamo superato il traguardo insieme: 5’13’07’. Da qui è iniziata la festa, che è tutt’ora in corso (ride, ndr)”.

Fabrizio sei riuscito a battere una delle forme tumorali più pericolose e, una volta guarito, partendo da zero, hai portato a termine una maratona. Che cosa ti senti di dire a chi si trova magari oggi ad affrontare una situazione?
“Guarda, in tutta onestà, credo di non poter dire nulla. Non esistono ricette pre-confezionate o formule magiche che consentano di affrontare una malattia come quella. Bisogna trovarcisi per capire. Quando ero in cura, ho visto persone reagire nei modi più disparati: chi si arrendeva, chi si arrabbiava e non si dava pace. Io ho scelto di combattere e di affrontarla con il sorriso. L’unica cosa che posso fare è raccontare la mia esperienza: se qualcuno vorrà e potrà trarne un qualche supporto, ne sarò ben felice”.

Prima di chiudere questa chiacchierata parliamo dei tuoi prossimi impegni
“Ci sono molti progetti, vedremo. Certamente il 15 novembre sarò a Verona per la giornata del tumore al pancreas. Racconterò la mia vicenda e parlerò anche della mia associazione Corri In Muso Al Cancro (www.corriinmusoalcancro.it)”.

Per quanto riguarda invece i tuoi impegni agonistici?
“Fino a sabato, a tutti quelli che mi chiedevano che cosa avrei fatto dopo, rispondevo che la maratona mi sembrava una montagna troppo grossa per essere scalata più volte. Dopo la gara di domenica, la penso invece diversamente. E’ un’esperienza totalizzante che probabilmente proverò a ripetere, anche perché ho un personal best che non mi rende giusto merito, per cui lo voglio certamente migliorare (ride, ndr)”.

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