Formula 1

Ferrari, cosa è mancato per giocarsi il Mondiale? Strategie, affidabilità e cinismo

Leclerc guarda la Red Bull
Leclerc guarda la Red Bull - Foto LiveMedia/Antonin Vincent / Dppi/DPPI

Si chiude la lotta per il Mondiale di F1 e con merito arriva il successo di Max Verstappen, che con dodici vittorie stagionali e pochissimi errori ha dominato in lungo e in largo. Una Red Bull dominante, nei numeri ancor prima che nei fatti, che in fin dei conti ha lasciato solo le briciole a una Ferrari comunque conscia dei miglioramenti rispetto alle precedenti sciagurate ultime due annate in cui lottava non per il titolo ma per essere la migliore del pacchetto di mischia.

Siamo a ottobre, ma la mente corre a quel marzo in cui tutto sembrava essere cominciato in modo assolutamente diverso: e in effetti, sembra paradossale dirlo, ma sono tanti i rimpianti per la scuderia di Maranello, alla quale per giocarsi il Mondiale non è mancata certo la macchina. Il problema è che i competitor avevano anche tutto il resto.

Mancato sviluppo in casa Ferrari

Nei primi due-tre mesi di questo Mondiale, infatti, c’è stato evidente testa a testa serrato tra Ferrari e Red Bull, con la rossa persino più competitiva a tratti. La partenza a razzo con due vittorie nelle prime tre gare ha probabilmente illuso tutti e fatto sovrastimare una macchina ottima che però non ha saputo tenere il passo del team austriaco. Perché? Ecco il primo tema, quello dello sviluppo della monoposto, che per la Red Bull (caso budget cap a parte) è stato votato a continui aggiornamenti fino al colpo di grazia finale tra Ungheria e Belgio, mentre per la Ferrari ha portato forse anche a dei passi indietro.

Insomma, in estate in casa Cavallino non hanno evidentemente lavorato abbastanza bene e alla ripresa, nel trittico infernale Spa-Zandvoort-Monza, si è deciso un Mondiale che pendeva già chiaramente dalla parte di Verstappen. Il Belgio in particolare un’agonia per la Ferrari, divenuta persino meno competitiva della Mercedes.

A proposito, la forza della Red Bull sta anche qui: aver creato una vettura praticamente perfetta, a differenza di una Mercedes che è stata affidabile, ben gestita dal muretto, ma per nulla veloce, e una Ferrari che invece ha fatto della velocità e del potenziale il suo cavallo (cavallino) di battaglia, ma con carenze sotto gli altri aspetti. Insomma, la somma di Ferrari e Mercedes fa una Red Bull quest’anno.

Ko domenica: strategie sbagliate

Ferrari splendida al sabato, deludente la domenica: già, perché in qualifica viene fuori soltanto il potenziale della macchina e quello del pilota, e nel giro secco Leclerc ha inanellato nove pole più le due di Sainz, che portano il team del Cavallino a undici pole su diciotto. Un dominio dal punto di vista della velocità secca che poi, per un motivo o per un altro, non è stato trasferito anche in gara.

E’ mancata l’abilità strategica del muretto, con scelte spesso troppo conservative quando bisognava osare, troppo visionarie quando era il caso di gestire. Ed è così che sono stati persi una serie di punti che pesano maledettamente sugli equilibri di questo Mondiale. Monaco, Silverstone, l’Ungheria (imbarazzante montare gomme medie) e il Canada gridano vendetta per le scelte scellerate della Ferrari, che hanno influito sulla mancata competitività di Leclerc in classifica piloti.

Ferrari, è mancata l’affidabilità

E’ mancata anche l’affidabilità della vettura, perché sono stati ben tre i ritiri per Leclerc, Spagna, Azerbaijan per problemi alla vettura, Francia per errore del pilota, tutti e tre con il monegasco scattato dalla pole e saldamente in testa alla gara. 78 potenziali punti bruciati, e qualcuno in più andato a Verstappen. Una cifra spaventosamente alta che si unisce a quella dei ritiri di Sainz, ben cinque, lui che era stato l’unico pilota a completare tutte le gare nel 2021.  Otto volte zero per i due piloti non basta a spiegare la debacle. Già, perché è stato proprio il “manico” talvolta a tradire una macchina assolutamente prestazionale: Leclerc ha sbagliato a Imola, rovinando la sua gara, al Paul Ricard ha fatto tutto da solo e ha chiuso col ritiro.

E poi, la partenza disastrosa a Singapore, e in Giappone il dritto subito sanzionato dalla solerte direzione di gara che di fatto consegna il Mondiale a Verstappen. Ci ha messo qualcosina del suo Leclerc, e Sainz di certo non ha brillato: ha conquistato la sua prima vittoria a Silverstone, ma da lì in avanti non è più nemmeno riuscito ad arrivare secondo.

Poco cinismo: bisognava puntare su un pilota

Aggiungiamoci, infine, che per larghi tratti del Mondiale la Ferrari (giustamente o meno) non ha puntato in modo chiaro e inequivocabile su un pilota, ma di volta in volta ha analizzato la situazione in gara. Il disastro più totale è a Monaco, dove Leclerc è stato privato di una vittoria per favorire Sainz, che a sua volta non è comunque riuscito a portarla a casa, ma troppe volte la totale mancanza di cinismo ha portato al probabile uno-due Red Bull nella classifica piloti.

Il team austriaco fin da subito ha assegnato il compito di scudiero – ruolo svolto alla grande – a Perez, che si è pure tolto la soddisfazione di vincere due gare e ha contribuito in modo fattivo, pur non brillando in diverse gare, alla conquista del secondo Mondiale di Verstappen. Il team guidato da Binotto, che non è certo esente da colpe quest’anno, in primis nella scarsa capacità di far valere il peso politico che una scuderia gloriosa come la Ferrari dovrebbe avere, non ha preso posizione nei confronti dei due piloti e lo ha pagato.

Tante mancanze da non ripetere nel 2023, perché le premesse per avvicinarsi ulteriormente alla Red Bull ci sono: partire bene e finire bene, questo l’obiettivo del prossimo anno in cui si dovrà fare tesoro degli errori compiuti, che sono tanti come visto e sotto diversi aspetti, e migliorare da ogni punto di vista. La storia lo impone alla Ferrari, il Mondiale manca dal 2007 e mai come quest’anno, con la Mercedes in difficoltà, sembrava possibile tornare al trionfo. Ma chapeau a Red Bull e Verstappen.

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