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Qualcuno liberi Donnarumma da Raiola

Gianluigi Donnarumma - Foto Antonio Fraioli

Il tormentone non è ancora finito, anzi. Gianluigi Donnarumma torna ad essere un “problema” in casa Milan e a rabbuiare un clima apparentemente più sereno per i colori rossoneri dopo due vittorie consecutive che mancavano addirittura dallo scorso settembre. Mentre a San Siro gli uomini di Gattuso disponevano agevolmente del Verona negli ottavi di Coppa Italia, sugli spalti (e negli spogliatoi) si giocava un’altra partita: “La pazienza è finita”, Donnarumma sì o Donnarumma no?

I fatti degli ultimi giorni sono noti: “mal di pancia” e “violenza psicologica per la firma del rinnovo” sono i termini che hanno strappato più di qualche sorriso parlando di un ragazzo classe 1999 con un contratto da capogiro. Eppure, il predestinato portiere del Milan deve fare i conti con qualcosa di più grande di lui: Mino Raiola. Una figura abile nel muovere i fili che può permettersi di parlare per nome e per conto dei suoi assistiti, costretti a trovarsi attribuite frasi mai pronunciate. Quanto basta per ottenere il suo scopo, vero e proprio specchietto per allodole: far terra bruciata intorno al giocatore, creare una frattura insanabile con l’ambiente e finalizzare un trasferimento solamente sfiorato nella scorsa sessione di calciomercato.

Ma perché Donnarumma non si espone? Perché non si libera del suo procuratore? Sono gli interrogativi più semplici da porsi, meno cui dare una risposta. È ormai evidente che il rapporto agente-calciatore vada oltre il mero ambito calcistico, incastonato in accordi pregressi siglati in un periodo difficile e complessi da sciogliere. La guerra non è tra il Milan e Donnarumma, è tra il Milan e Raiola. Un elemento venuto a galla nella ricostruzione dei fatti degli ultimi giorni è la mancanza della clausola rescissoria, apparentemente “rifiutata” dal calciatore e dalla sua famiglia: un dettaglio che regalerebbe un potere sul mercato decisamente maggiore ai rossoneri in caso di cessione, potendo fissare il prezzo e non “accontentarsi” di una cifra prestabilita.

Se gran parte dei tifosi ha convertito il suo hashtag da #Gigiovattene e #Gigiomollalo entrando di diritto nei top trend della giornata, la sensazione è che la vicenda sia ben lungi dal concludersi (e positivamente) e a rimetterci è proprio il diretto interessato. Donnarumma è attualmente uno dei migliori interpreti al mondo nel suo ruolo, un futuro luminoso davanti a sé e un passaggio di consegne in nazionale con Buffon ormai concretizzatosi. Gigio è un patrimonio da preservare ma evidentemente sacrificabile per interessi e scopi personali. Il suo silenzio sui social è assordante: l’ultimo post su Twitter è del 22 novembre con Gigi D’Alessio, su Instagram siamo fermi a due giorni prima, ironia della sorte, in una cena con la squadra al gran completo. Nessun “Donnarumma e Raiola, ieri, oggi e domani”, nessun presunto hackeraggio di profili, questa volta. Non basterebbero d’altronde 280 caratteri per una vicenda che ha sicuramente del torbido, non sarebbe sufficiente una foto con un sorriso di circostanza mentre il cuore sanguina. Il suo pianto in Coppa Italia è, a parere di chi scrive, sincero e vale più di una presa di posizione attraverso frasi fatte a mezzo stampa: un peso troppo grande sulle spalle di un ragazzo ritrovatosi al centro di un polverone mediatico che non aveva richiesto. Dalla sua parte Donnarumma ha la consapevolezza di non essere solo: il gesto di Bonucci è significativo, lo è ancor più quello del suo allenatore Gattuso. Ringhio è da sempre sinonimo di appartenenza al club, fedeltà e valori: sembra pertanto improbabile un suo parteggiamento così eloquente al fianco di un possibile “Giuda”.

In un mondo ideale, probabilmente la favola Donnarumma-Milan si sarebbe chiusa da tempo con un contratto a vita e l’allontanamento del manager padrone. Per una serie di fattori, tante cose resteranno in ombra danneggiando gravemente la reputazione di un giocatore che ne potrebbe risentire tra i pali nelle prossime partite (e compromettere la sua ascesa) in un momento in cui si era reso decisivo tra Torino e Bologna (oltre ad un paio di salvataggi col Napoli). La reputazione di Mino Raiola è nota ai più, la sua influenza nel mondo calcistico persiste – e persisterà – nonostante ciò con un parterre di assistiti tra i più ambiti dalle big. E allora, Gigio, almeno per il momento e come nel caso di un cane che si morde la coda, “non ci resta che piangere”.

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