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Running, “I consigli del Prof”: crescita della velocità-intensità e densità di allenamento

Maurizio Di Pietro
Maurizio Di Pietro con un gruppo di allievi prima di una gara

Dopo aver parlato nella seconda puntata della rubrica “I consigli del Prof” di continuità di allenamento, importanza del riposo e delle fasi di carico e scarico, Sportface.it ha incontrato nuovamente il Professor Maurizio Di Pietro, per sviluppare con lui altre interessanti considerazioni.

Professor Maurizio Di Pietro, all’interno del suo libro “Raggiungi la tua miglior performance nella corsa” (SUSIL Edizioni), lei ha parlato in maniera dettagliata anche del concetto di crescita della velocità.
“Come ho avuto modo di spiegare in precedenza, un corretto programma di allenamento dovrebbe avere una struttura sinusoidale: una prima parte di costruzione, seguita da una fase qualitativa in cui si ottiene il picco della condizione, per passare poi a steps di decrescita e recupero. I cicli di allenamento successivi dovranno avere la stessa architettura generale, anche se potranno essere differenti nei contenuti specifici, a seconda delle esigenze dell’atleta. E’ importante però chiarire bene un concetto”.

Quale?
“Ad ogni ciclo di lavoro, le velocità dovrebbero fisiologicamente crescere. Incrementando la quantità del chilometraggio e dando continuità agli allenamenti, accadrà che, ad un certo punto della preparazione, le stesse sedute di allenamento potranno essere svolte in maniera più performante rispetto a quanto si erano svolte nel ciclo precedente”.

A che cosa è dovuto questo risultato?
“Con la continuità di allenamento, l’organismo dell’atleta diventa progressivamente più potente. Se questo miglioramento non si determina, significa che la preparazione svolta contiene qualche errore”.

Ci spieghi meglio.
“La velocità, o meglio l’intensità che si riesce ad ottenere, è direttamente proporzionale non solo alla mole di lavoro impostato, ma anche alla forza che si riesce a sviluppare. Faccio un esempio: se a dicembre un atleta svolge un allenamento di fondo lento ad una velocità media di 4.30/km, è probabile che con allenamenti costanti ed aumento di chilometraggio, dopo qualche settimana lo stesso atleta possa correre lo stesso fondo medio 10-15 secondi più veloce. Come conseguenza, anche i cosiddetti lavori di qualità potranno essere impostati a ritmi più veloci”.

E in tutto questo dove sta l’errore?
“L’errore più comune che si può commettere è quello di forzare troppo le velocità, trasformando ad esempio una seduta di fondo lento in una di fondo medio, oppure correndo le ripetute ad una velocità troppo elevata rispetto al livello di preparazione del momento”.

Impostare le velocità di allenamento corrette è dunque fondamentale.
“Assolutamente sì. Se il piano di crescita è costruito in maniera oculata, un atleta dovrebbe fare oggi la stessa fatica a correre ad un ritmo di 4.15/km lo stesso fondo lento che qualche mese fa correva a 4.30/km. Questo miglioramento è semplicemente attribuibile ad una crescita di condizione e non al fatto che oggi si stanno forzando i ritmi rispetto a qualche mese addietro. Si tratta di un adattamento fisiologico, conseguenza di un programma di allenamento che tiene presente tutti i principi discussi fino ad ora”.

 A proposito di un corretto programma di allenamento, ci spiega che cosa si intende per “densità di allenamento”?
La densità dell’allenamento è un concetto a mio avviso basilare, anche se non sempre tenuto nella giusta considerazione e, soprattutto nella corsa di resistenza, gioca un ruolo chiave. Si tratta infatti del tempo di recupero che occorre impostare durante l’allenamento”.

Ci spieghi meglio con un esempio.
“Se all’inizio della preparazione si riesce ad impostare un allenamento sulle ripetute, ad esempio 8x500mt in 2.00 con recupero 90’’, a distanza di qualche settimana è ipotizzabile un allenamento della stessa entità, cioè 8x500mt in 2.00, ma con un recupero tra una prova e l’altra ridotto a 60″. Si ha in questo modo una misura della accresciuta potenza aerobica, che ha consentito un recupero ottimale tra due ripetute successive, in un tempo ridotto”.

In altre parole, accorciare i tempi di recupero per far crescere l’organismo.
“Esatto. Molto spesso mi è capitato di vedere atleti svolgere lavori di senso opposto, cioè dilatare il tempo di recupero, per privilegiare la velocità di corsa nella singola ripetuta. Nella mia esperienza questo è un errore: è infatti controproducente sviluppare ripetute troppo veloci, senza che abbiano una correlazione realistica con le velocità che si possono poi impostare in una gara. Voglio fare a questo proposito un altro esempio concreto”.

Prego.
“Consideriamo un atleta che programma di correre una gara di 10km in 40’, cioè con un ritmo di 4.00/km. Secondo me, per questo atleta ha senso fare un ciclo di ripetute di questo tipo: 5×1000 a 3.50/km con recupero 60’’, mentre avrebbe molto meno logica un ciclo di 5×1000 a 3.35/km, con un recupero tra le prove sensibilmente più lungo. Un ciclo di ripetute a 3.50/km con recupero 60’’ è molto simile al ritmo che l’atleta dovrà tenere in gara; inoltre il breve recupero non consente alle pulsazioni cardiache di scendere sensibilmente. Ultimo fattore da non sottovalutare: correndo a 3.50/km le ripetute, l’atleta adotterà un’azione tecnica speculare a quella che andrà a riproporre durante la gara”.

Nel prossimo appuntamento, online il 19 marzo, affronteremo con il professor Di Pietro i temi dell’età, della perdita delle fibre veloci e dell’aumento della distanza di gara.

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