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NBA 2019/2020: la presentazione del roster dei Chicago Bulls

L’anno scorso per i Bulls è stato il secondo anno di ricostruzione: con certezza si può affermare che sia stata una delusione. Zero progressi sul campo, tantomeno miglioramenti dal punto di vista della classifica. Le 60 sconfitte in regular season sono il dato peggiore dalla stagione 2001/2002 e le sole 22 vittorie sono il quinto risultato peggiore nella storia della franchigia. I Bulls non sono riusciti né a segnare (27esimi nella Lega) né a difendere in modo adeguato (20esimi nella Lega per punti concessi). Uno dei migliori market NBA è diventato sempre di più, soprattutto grazie alla scorsa stagione, un angolo poco felice degli Stati Uniti d’America.

LA PRESENTAZIONE DI TUTTE LE ALTRE SQUADRE

RECORD 2018/2019: 22-60, fallita la qualificazione ai playoffs.

ARRIVI: Coby White (Draft), Tomas Satoransky (trade), Thaddeus Young (free agency).

PARTENZE: Robin Lopez.

PROBABILE QUINTETTO 2019/2020: Satoransky, LaVine, Porter Jr., Markannen, Carter Jr.

PANCHINA 2019/2020: Dunn, White, Valentine, Arcidiacono, Hutchison, Kornet, Young, Gafford, Felicio. 

Per tutte queste calamità esistono ovviamente delle ragioni di fondo. Gli infortuni hanno impedito ai giocatori di giocare 290 gare totali e in fattispecie due speranze per il futuro, il rookie Wendell Carter Jr. e il sophomore Lauri Markannen, hanno giocato rispettivamente 44 e 52 partite. Kris Dunn, invece, si è fermato a 46 allacciate sul parquet. Al fine di dare una scossa al roster e aggiungere profondità alla rotazione ormai tartassata i Bulls hanno firmato Otto Porter Jr., un’ala lautamente compensata che porta nell’Illinois range di tiro. Nelle partite in cui è riuscito a giocare insieme a Zach LaVine è riuscito dimostrare di poter formare una coppia di swingmen che l’anno prossimo potrebbe causare problemi alle difese avversarie. LaVine (23.7 ppg) ha avuto una solida stagione senza infortuni dove ha migliorato nel tiro e ha riscoperto la sua esplosività giocando teoricamente fuori posizione, ossia da playmaker. E’ stato il punto nevralgico della franchigia e, sostanzialmente, la vera ragione per comprare un biglietto allo United Center. La stabilità della squadra, tuttavia non è mai arrivata: da questo punto di vista diversi giocatori e diversi quintetti non hanno mai portato ai risultati voluti.

Con spazio salariale da utilizzare e una settima scelta al Draft da sfruttare i Bulls si sono mossi al fine di fortificare la rotazione attorno a un core abbastanza giovane: ciò voleva dire draftare un playmaker, firmare un veterano e cercare una trade per uno swingman in via di sviluppo. Da quando Derrick Rose, MVP della stagione 2010/2011, ha sofferto quel maledetto infortunio al ginocchio quasi sette anni fa a Chicago sono stati perseguitati dal non avere un numero uno con istinti repentini, leadership e abilità nel playmaking. Sono rimasti sostanzialmente impantanati, il che è inusuale in una Lega dove i playmaker abbondano letteralmente: quasi ogni team ha in posizione di uno un giocatore quanto meno di talento. I Bulls hanno optato tre anni fa su Dunn, pensando che la ricerca fosse terminata: è tuttavia ricominciata nel momento in cui, quasi dal principio, il classe ’94 ha avuto problemi al tiro (42% dal campo e 33% dal perimetro).

Tutti i dubbi si sono sciolti quest’estate quando alla numero 7 è stato scelto Coby White, una delle maggiori promesse a livello di playmaking della classe. Il giocatore con l’acconciatura strana è sorprendente per statura (191cm), per shooting range (ha firmato il record di triple da parte di un freshman a North Carolina) e per l’abilità di giocare off the ball: quest’ultima caratteristica gli farà guadagnare tuttavia molte partenze in quintetto da numero 2. L’estate di Chicago non è stata solo confinata a White e al Draft. I Bulls sono riusciti a ottenere Tomas Satoransky tramite una sign-and trade con Washington: uno swingman con abilità da playmaker, caratteristica che è stato forzato a sviluppare a causa del forfait di John Wall.

 

Sarà interessante scoprire come Jim Boylen riuscirà a far coesistere LaVine, Satoransky e Porter, ossia giocatori più o meno della stessa statura e dalle medesime capacità. E’ un ottimo problema da avere: in uno scenario perfetto i Bulls avranno sempre sul parquet due o tre scorers, il mix dei quali dovrà essere condito con Markannen. In uno scenario da incubo vedremo semplicemente alcuni giocatore insoddisfatti del proprio minutaggio. Nell’Illinois è anche giunto Thaddeus Young tramite la free-agency: senza ombra di dubbio una delle ali grandi più sottovalutate della Lega che ha ben dimostrato il proprio valore a Philly e a Indiana; un veterano intelligente e poco propenso al drama, un’ottima pedina per l’equilibrio di uno spogliatoio in sviluppo e, soprattutto, un giocatore complementare a Markannen (o perlomeno, questa è la speranza). Non è arrivato il re-sign di Robin Lopez: Carter è guarito ed è pronto per ricominciare la sua avventura NBA, contando comunque che la conferma di Lopez non fosse ugualmente tra i progetti della franchigia. Prima della deadline la società ha provato a piazzare in una trade il fratello di Brook, senza tuttavia trovare alcun acquirente.

Un’altra pratica sulla tabella di marcia era quella inerente l’allenatore. Jim Boylen non è affatto popolare tra i tifosi e, come se non bastasse, l’anno scorso ha dovuto quasi reprimere la minaccia di una sovversione da parte dei giocatori: scontato dire che i Bulls, sotto il suo controllo, siano andati alla deriva. Nonostante tutto quest’estate il front-office ha voluto riporre in lui fiducia, estendendogli il contratto di tre anni. Probabilmente il management non aveva tanta scelta: avesse silurato Boylen sarebbe stato un altro fallimento autodichiarato in seguito alla cacciata l’anno scorso di Fred Hoiberg. Boylen ha certamente fatto la gavetta come vice-allenatore in ordine cronologico di Warriors, Bucks, Rockets, Pacers e, infine, di Gregg Popovich a San Antonio: ovviamente c’è da porsi la domanda sul fatto se sia meglio come vice o come head coach. Tutto rimandato ai posteri: i Bulls hanno riposto estrema fiducia in lui e, al momento, il suo status non è un problema.

Chicago si è mossa avanti per quanto riguarda il processo di ricostruzione, sperando in una stagione priva di infortuni e con una potenziale star come LaVine: la produzione dovrà tuttavia essere anche affidata ai giovani, ossia la vera chiave per ottenere rispetto. Quest’ultima è stata l’unica e forzata scelta da compiere: tutti i coinvolti dovranno armarsi di tanta pazienza.

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