Amarcord

L’angolo del ricordo: genio e sregolatezza di Carlo Bigatto, prima bandiera della Juventus

Carlo Bigatto. Foto di pubblico dominio

Chiellini, Buffon, Del Piero, Conte, e sempre più indietro a ritroso fino ad arrivare a Carlo Bigatto, o meglio, Bigatto I (per distinguerlo dall’omonimo Giorgio, anch’egli dal passato bianconero), come era noto all’epoca uno dei giocatori che ha segnato maggiormente il calcio del primo dopoguerra. Tra genio e sregolatezza, Balzola aveva dato alla luce il 29 agosto del 1895 un calciatore di valore, con modi di fare pittoreschi e precursori di tante figure (da Best a Cantona) che imperverseranno nei decenni a seguire. Primo capitano della Juventus quando ancora non si portava la fascia al braccio, prima vera bandiera della Vecchia Signora coi suoi diciotto anni di militanza interrotta solo dalla Grande Guerra alla quale prese parte nel 1915 tra le fila della brigata fanteria Pinerolo.

BIANCONERO A VITA – Un sabaudo doc con la passione per il pallone, ma non solo. Nel 1910, ad appena quindici anni, comincia a giocare per il Piemonte, tre anni dopo cambia casacca ma resta a Torino, passando al servizio dei rivali della Juventus. La tecnica non era esattamente la prerogativa di Bigatto, che però iniziò come attaccante e segnò subito all’esordio con la maglia bianconera il 12 ottobre 1913 contro il Racing Libertas. Incredibile, ma vero, quel gol resterà l’unico nella lunghissima carriera con la Vecchia Signora, ma bisogna considerare il fatto che al rientro dalla prima guerra mondiale fu modificata la propria posizione in campo e ricoprì, con ottimi risultati, il ruolo di centromediano scendendo in campo in ben 234 occasioni. Un duro, sapeva picchiare e non si risparmiava dal punto di vista dell’agonismo, ma soprattutto un calciatore che faceva dell’ordine tattico la sua dote migliore, tanto da arrivare a giocare per cinque volte in Nazionale.

CAMPIONE DI STRAVAGANZA – Al di là delle indubbie doti calcistiche, Bigatto fu tra i primi calciatori a diventare un vero e proprio personaggio mediatico. A cominciare dal proprio look, incredibilmente naif: un paio di baffi folti e ricurvi a incupire un viso in cui spiccava quello che Calzaretta definì come “un copricapo con due alette che scendono fin sotto le orecchie”. Insomma, un look quasi da pirata, a metà tra il ricercato e il trasandato, sicuramente lontanissimo dai modelli dell’epoca. A questo si aggiungeva l’abitudine, confermata dallo stesso Bigatto e da diverse fonti dell’epoca, di essere un gran fumatore e di arrivare ad accenderne fino a 140 al giorno. Non di certo una vita da atleta, e non è tutto: l’attività di giocatore era inizialmente solo un ripiego per consentirgli di avere visibilità agli occhi di milioni di italiani. Lo scopo? Quello di pubblicizzare il proprio deposito di legname, che per diversi anni considerò come la propria attività primaria, tanto da passare alla storia anche per aver rifiutato di essere stipendiato dalla Juventus: in quegli anni il mestiere del calciatore, dopo alcuni tira e molla, aveva ottenuto lo status del professionismo, ma Bigatto rifiutò fino al ritiro, avvenuto nel 1930 dopo una serie incredibile di soddisfazioni.

IL PROTAGONISTA – Già, perché al di là della vita sregolata lontana dai campi, dentro al rettangolo di gioco Bigatto aveva di fatto segnato un’epoca, anzi, era stato l’anello di congiunzione di tre fasi diverse della storia della Juventus. Aveva vissuto gli anni dell’esordio di questa squadra che sarebbe diventata poi la “Fidanzata d’Italia”, era stato protagonista di anni di rivoluzione e fermento, per poi ritirarsi a metà della prima stagione (a dicembre 1930) delle cinque in cui sarebbero arrivati altrettanti scudetti di fila bianconeri. C’è di più: la Vecchia Signora, nel 1934, scelse proprio lui per sostituire l’artefice dei primi quattro titoli di fila Carlo Carcano, e così Bigatto divenne l’unico bianconero a vincere nel Quinquennio d’oro sia da calciatore che da allenatore. Per completare il cerchio, anche una parentesi da dirigente della Juve (si fece conoscere per essere un ottimo scopritore di talenti), quindi la morte prematura nel 1942 ad appena 47 anni per via di una brutta malattia che strappò via al movimento italiano uno dei protagonisti di quegli anni ruggenti che gettarono le basi per il calcio moderno.

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