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Running, Federico Camurati: “Completando l’Ultra Trail du Mont Blanc ho realizzato un sogno”

Federico Camurati, running

Ad un certo punto ho avuto le allucinazioni, ero talmente stanco che ho visto cose, immagini che non esistevano. Non è stata solo una competizione sportiva, è diventata quasi un’esperienza onirica, forse perché in 43 ore mi sono fermato a dormire solo per 28 minuti”. L’UMTB, acronimo di Ultra Trail du Mont Blanc, internazionalmente riconosciuto come il world summit del trail running, è anche questo. Oltre 170km, 10.000 metri di dislivello positivo da percorrere  lungo tre versanti del Monte Bianco: Francia, Svizzera, Italia e ancora Francia. Partenza venerdì 1 settembre alle ore 18.00 da Chamonix e 46h30’ di tempo massimo per ritornarci. Federico Camurati, 40enne alessandrino ce l’ha fatta in poco più di 43 ore e, a mente fredda, rivive in esclusiva per Sportface.it le emozioni di un’esperienza indimenticabile.

Federico, sono passate quasi 2 settimane. Prima di tutto come stai?
“Sto benissimo (ride, ndr). Sto recuperando bene: lo sforzo è stato enorme, ma a parte gli acciacchi alle ginocchia, non ho avuto problemi fisici particolari”.

Ritorniamo a venerdì 1 settembre, a quelle 43 ore di gara. Che cosa hai provato?
“Sensazioni meravigliose. Una meraviglia, quella gara è un autentica meraviglia. Una sfida che impegna la psiche a trovare motivazioni per andare oltre i propri limiti. L’UTMB è il summit mondiale dell’ultra-trail, io ho partecipato e l’ho finito. Posso dire di aver coronato il sogno della mia vita sportiva”.

Come l’hai impostata una gara del genere?
“In difesa”.

Spiegati meglio.
“Io avevo un obiettivo chiaro in testa: finirla entro il tempo limite. Per raggiungere questo obiettivo ho approcciato il percorso con prudenza, 170km sono tantissimi e le incognite sono dietro l’angolo; per quanto uno possa essere previdente, non si può prevedere tutto. Per questo motivo, ho corso con la testa, tenendomi sempre una riserva di tempo di un’ora circa, per superare con sicurezza tutti i cancelli orari”.

 Puoi spiegare a chi è poco pratico di questo sport che cosa sono i cancelli orari?
“Certo. I cancelli non sono altro che dei punti di controllo disposti a distanze ben precise sul percorso. Per poter continuare la gara, i concorrenti devono superare i vari cancelli entro un tempo intermedio predefinito. Gli atleti che non riescono a raggiungere il cancello successivo in tempo utile, vengono fermati dall’organizzazione e sono costretti a ritirarsi dalla competizione”

Che difficoltà hai incontrato?
“Ne ho incontrate di ogni tipo (ride, ndr). Abbiamo avuto temperature percepite in un intervallo da -9°C fino a 25°C, le condizioni meteo in generale sono state avverse, pioveva, il terreno si è presentato da subito molto fangoso. In un contesto del genere, le mie scarpe tecniche da 200gr sono andate a farsi benedire (ride, ndr): dopo pochi chilometri erano talmente piene di fango che pesavano un chilo ciascuna. Tieni conto che in una gara del genere per lunghi tratti si cammina, per cui la rullata del piede è completa: nella seconda parte di gara, i miei muscoli tibiali facevano talmente male che ho persino pensato che qualcuno mi avesse accoltellato”.

Il momento più duro in assoluto?
“Difficile dirlo. Forse la prima notte. La gara parte alle 18.00 proprio per consentire agli atleti di affrontare la prima nottata con il pieno delle energie in corpo. Il problema è che abbiamo trovato subito pioggia, una pioggia gelata e fittissima. Con la lampada frontale accesa sembrava di avere un muro bianco davanti agli occhi, non si vedeva niente. Dietro di me sentivo atleti in difficoltà, è stato un passaggio durissimo”.

Hai visto atleti costretti al ritiro?
“Sì, ho visto persone in grave difficoltà, gente ai ristori che faceva fatica ad alzarsi e a continuare a camminare. Ci sono stati circa 900 ritiri, un terzo dei partenti si è dovuto fermare, purtroppo. L’UTMB è una gara abbastanza corribile: il percorso si snoda su un tracciato turistico, per cui se si è ben allenati in molti tratti si riesce a correre con costanza. Questo per assurdo diventa un problema: se non si è cauti e ci si lascia prendere la mano dal percorso, prima o poi la stanchezza arriva a chiedere il conto e allora sono guai”.

C’è mai stato un momento di sconforto, un attimo in cui hai detto: “Non ce la faccio. Mi fermo”?
“No”.

Risposta perentoria.
“Il mio obiettivo era arrivare in fondo in tempo utile, non ho mai preso in considerazione un’opzione diversa. La classica domanda, ‘Chi me lo ha fatto fare?’, per me non esiste. La montagna mi ha chiamato, io ho risposto ‘presente’. Nell’ultimo anno mi sono preparato esclusivamente in funzione di questa gara, ho lavorato sulla resistenza, sull’intensità, ho testato materiali, vestiti, alimentazione, tutto. Non ho lasciato nulla al caso”.

Il momento più bello?
“La partenza, con la colonna sonora dell’UTMB in sottofondo, avevo la pelle d’oca. Se ci ripenso, mi vengono ancora i brividi. Così come mi vengono, se ritorno con la mente a quando ho visto il sole sorgere dalle pendici del monte e poi quando sono giunto in prossimità del traguardo, quando ho visto la mia compagna Lorena che mi aspettava”.

 Ecco, il traguardo. Che hai fatto?
“Ho esultato come se avessi vinto la gara. Anzi no scusa. Io ho vinto, ho vinto la gara contro me stessoIo corro con gli altri contro me stesso. Poco importa se ci ho messo il doppio del tempo di chi ha tagliato il traguardo per primo. Nel nostro sport l’importante è arrivare al traguardo, mangiamo tutti lo stesso fango. Il cronometro serve per vedere quando devi alimentarti e riposare, ma l’importante è arrivare. Io ce l’ho fatta”.

 Dalle tue parole traspare una passione autentica, genuina. Da dove nasce? Quando hai cominciato?
“Ho cominciato nel 2004. Pesavo 102kg, ho iniziato a correre per dimagrire. Andavo ad Alessandria, sugli “argini” (il luogo dove non di rado si vede correre in allenamento anche la maratoneta Valeria Straneo, ndr). Il percorso pianeggiante però mi annoiava, per cui con un amico ho cominciato a correre sulle colline di Valenza Po, a poca distanza da casa mia. Da lì, vista la mia passione per le escursioni in montagna, passione che mi porto fin da bambino, ho pensato di unire l’utile al dilettevole e ho iniziato a correre in montagna. A questo proposito vorrei raccontare un aneddoto”.

Prego.
“Nel 2008 la pratica dell’ultra-trail era ancora poco diffusa. Io mi trovavo nella Val Borbera, sul confine tra Piemonte e Liguria per andare a fare un’escursione sul Monte Giarolo. Entrando in un bar vidi la locandina de “Le Porte di Pietra”, un trail di 70km. Mi rimase impressa quella locandina, pensavo che fosse una cosa da pazzi fare una corsa del genere. Ebbene, nel 2012 mi sono iscritto a “Le finestre di Pietra”, una manifestazione correlata di 38km e poi nel 2015 ho corso “Le Porte” , direi quasi in scioltezza (ride, ndr)”.

 Quante volte ti alleni a settimana?
“Sei volte. In settimana faccio i lavori di qualità e di tipo tecnico, mentre nel fine settimana faccio i cosiddetti “lunghi”, che nel mio caso sono composti da allenamenti di minimo 6-7 ore”.

Come riesci a conciliare lavoro e allenamento?
“Io lavoro in fabbrica, faccio i turni. A prima vista può sembrare comodo perché spesso, temporalmente parlando, si ha quasi mezza giornata libera per allenarsi. Di fatto, è un problema per la qualità degli allenamenti: quando faccio il turno del mattino, 6-14, mi alzo alle 5 e, dopo essere stato in piedi per 9-10 ore, vado ad allenarmi. Quando faccio il turno di notte è ancora peggio: finisco di lavorare alle 6 del mattino, dormo qualche ora e poi mi alleno. Non è sempre facile, ma la passione vince su ogni altra difficoltà”.

Che caratteristiche deve avere un trail runner?
“Dal punto di vista organico, deve essere un atleta duttile, nel senso che sono necessari anche allenamenti di tipo tecnico, come il fartlek. Deve avere buone conoscenze anatomiche e conoscere bene il proprio corpo, capire quando il dolore è ‘buono’ e ci si può convivere, e quando invece è necessario fermarsi. Inoltre è fondamentale la conoscenza della montagna: ci deve essere una conoscenza profonda, quasi empirica direi. Bisogna sapere quando coprirsi, quando bere, quando alimentarsi, cosa fare quando il vento tira in un certa direzione, sapere come comportarsi quando fa caldo. Se non si ha questa base d’insieme, è difficile praticare questo sport. Senza contare poi che la dote più importante è un’altra”.

 Quale?
“Il cuore, non inteso come muscolo corporeo, ma come voglia, passione, determinazione incrollabile. Per quanto si possa essere allenati, in una gara come l’UTMB, si arriva ad un punto in cui l’organismo dice basta. A quel punto conta solo il cuore, la voglia di andare avanti e arrivare al traguardo. Se manca quello, il prossimo cancello non si raggiungerà mai in tempo”.

Dopo la gara, sul tuo profilo social hai scritto un lungo post di ringraziamento.
“Sì, è vero. Voglio ancora ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato a realizzare il mio sogno, a partire da Lorena fino al mio allenatore e a tutti i miei amici”.

Che cosa farà da grande l’ultra-trailer Federico Camurati?
“Bella domanda (ride, ndr). I giornali locali hanno dato poco risalto all’UTMB, in compenso però il docente di una scuola cittadina mi ha contattato per andare a raccontare ai ragazzi la mia esperienza. Mi ha fatto molto piacere. Per quanto riguarda le gare, ci sto pensando: sto vivendo una strana sensazione”.

Perché?
“Ho sempre pensato che l’UTMB sarebbe stato per me un punto di arrivo, invece in questi giorni sto maturando la convinzione che non sia stato altro che un punto di partenza o di passaggio verso nuovi sentieri di montagna (ride, ndr)”.

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